I pfas nei 14enni residenti nella “zona rossa” sono superiori di 32 volte il normale
I risultati relativi ai primi cinquanta campioni dei prelievi di sangue effettuati tra i quattordicenni della cosiddetta ‘zona rossa’ interessata in Veneto dagli sversamenti della Miteni nelle acque sono di molto superiori alla media nazionale, che si aggira fra i 2 e i 3 nanogrammi. I primi dati di questo screening mostrano una mediana quasi uguale a quella riscontrata all’interno del campione monitorato nel 2016 dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss): 64 nanogrammi di sostanze pfas nel sangue contro 70 del campione Iss.
E’ questo il dato principale, preoccupante, che è emerso oggi nella prima giornata del simposio della comunità scientifica nazionale e internazionale, riunita oggi all’Ospedale Civile di Venezia su iniziativa della Regione del Veneto, per un confronto sulla situazione determinata dall’inquinamento da Pfas in ventuno Comuni delle province di Vicenza, Verona e Padova (120 mila abitanti coinvolti dei quali circa 80 mila nella zona “rossa” a più alta concentrazione), sulle iniziative di difesa sanitaria adottate e su quelle da realizzare in futuro.
“La presenza di pfoa riscontrata – ha affermato il direttore della sanità veneta Domenico Mantoan parlando dei primi risultati sui 14enni – è in linea con la media riscontrata l’anno scorso quando facemmo un campionamento su 500 persone di ogni età. Gli esami proseguiranno e si allargheranno a tutta la popolazione interessata, ma questo dato sui ragazzini ci fa supporre che l’emivita di queste sostanze possa essere superiore al previsto, considerando che da luglio 2013 questi ragazzi bevono acqua pulita e che evidentemente queste sostanze le hanno assorbite prima. Continuiamo comunque a monitorare, studiare e siamo pronti ovviamente anche a curare in caso di necessità. Sarà comunque un processo lungo e costoso, perché uno screening non è un’attività che oggi la fai e domani ti dà risposte”.
A partire da luglio 2013, a poco più di un mese dalla pubblicazione dello studio del Cnr sull’inquinamento da sostanze perfluoro alchiliche (pfas) rilevato in una vasta parte del Veneto, gli acquedotti pubblici sono stati messi in sicurezza dagli interventi di filtraggio subito effettuati. Ed è l’acqua, molto più degli alimenti, il vettore attraverso il quale le persone hanno assorbito queste sostanze.
Ad oggi, grazie a uno studio specifico condotto dal Registro Tumori del Veneto, è possibile dire che non si sono verificate alterazioni nella percentuale delle neoplasie registrate nell’area maggiormente compita che, anzi, risultano inferiori alle medie regionali.
Altre evidenze erano emerse – come noto – nella valutazione complessiva delle gravidanze dal 2003 al 2015, con un aumento delle gestosi, del diabete gravidico e dei bimbi nati più piccoli in proporzione all’età gestionale, dato quest’ultimo scomparso a partire dal 2013, anno nel quale sono stati messi in sicurezza gli acquedotti.
Gli interventi di oggi hanno messo in luce come l’approccio scientifico e la collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità scelti dalla Regione Veneto siano assolutamente condivisibili e possano essere presi ad esempio in tutto il mondo dove dovessero verificarsi situazioni d’inquinamento simili. Fra i relatori, il direttore del Dipartimento Ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità Eugenia Dogliotti; il direttore generale della sanità veneta Domenico Mantoan; la responsabile della direzione prevenzione Francesca Russo; Christof Hamelman dell’Ufficio Europeo per gli investimenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità con Marco Martuzzi del Centro di Salute e Prevenzione dell’Oms con sede a Bonn; Tony Fletcher, attuale responsabile della sanità pubblica britannica (l’uomo che ha studiato in prima persona un evento simile accaduto negli Stati Uniti); Kurt Streif, direttore dell’Agenzia Internazionale per la ricerca sul Cancro (Iarc); Massimo Rugge, responsabile del Registro Tumori del Veneto; Karen Mackay, dell’Autorità Europea per la Salute Alimentare.
“E’ un momento per certi versi storico – ha tenuto a sottolineare l’assessore alla Sanità Luca Coletto, impossibilitato a intervenire per la concomitanza di un’importante seduta della Commissione Salute a Roma – perché siamo gli unici che, seguendo un approccio rigorosamente scientifico e trasparente, manteniamo un confronto costante a livello internazionale, lavorando con l’Iss italiano e l’Oms”.
“L’Oms – ha detto Marco Martuzzi– ha condiviso “la positività delle strategie d’intervento sinora adottate sul fronte sanitario e partecipa con convinzione al lavoro della Regione e dell’Iss, che è già un prezioso punto di riferimento per la definizione delle linee guida internazionali che stiamo elaborando su questa specifica problematica”.
Tony Fletcher ha illustrato l’esperienza fatta seguendo un caso simile accaduto in Ohio a inizio anni 2000, quando le persone coinvolte furono circa 60 mila ed ha precisato che attualmente, oltre a quello americano e a quello veneto, si è a conoscenza di un solo altro episodio, accaduto in Svezia nelle vicinanze di un aeroporto e causato dallo sversamento delle schiume antincendio. Richiesto dai giornalisti, Fletcher ha riferito che, in Ohio, “l’azienda emersa come responsabile dell’inquinamento ha interamente finanziato la depurazione delle acque e versato un’ammenda di seicento milioni di dollari. Ora – ha detto – sono in piedi circa millecinquecento cause singole di risarcimento danni”.
“Con la Regione del Veneto – ha detto Eugenia Dogliotti dell’Iss – stiamo lavorando in perfetta sintonia, i risultati arrivano e gli esiti saranno preziosi per tutto il Paese. Proseguiremo tutte le attività comuni nell’interesse della sanità pubblica e dei cittadini”.
I lavori del simposio proseguono domani con, tra le altre, la presentazione dello studio su gestanti e neonati e di quello effettuato sui lavoratori dell’azienda Miteni.