Correlazione fra polveri sottili e Covid-19: Arpa Veneto partecipa a una ricerca nazionale
“Dopo lo studio annunciato la settimana scorsa, denominato Pulvirus, sulle conseguenze del lockdown relativamente alle emissioni in atmosfera e sulle interazioni tra particelle sottili e virus, la Regione sarà ancora in prima linea attraverso il suo braccio operativo Arpav, insieme all’Istituto Superio di Sanità, l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale del ministero dell’Ambiente) e Snpa (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) per affrontare gli effetti del virus mettendolo in relazione all’esposizione all’inquinamento da PM10”.
Questo il commento Gianpaolo Bottacin, assessore regionale veneto all’ambiente, all’annuncio della partecipazione dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente del Veneto ad un nuovo studio sul tema delle possibili correlazioni tra Covid-19 e inquinamento atmosferico. Promosso da Istituto Superiore di Sanità e Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, con il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (Snpa) di cui fanno parte le Agenzie ambientali delle Regioni (tra le quali Arpav), questa volta si tratta di uno studio epidemiologico nazionale per valutare se e in quale misura i livelli di inquinamento atmosferico siano associati agli effetti sanitari dell’epidemia.
“Va verificato, per esempio, – spiega ancora Bottacin – se una popolazione esposta a maggior inquinamento dell’aria riscontri una maggior vulnerabilità al virus in termini di effetti e se questo possa esser collegato a una maggior vulnerabilità generale a malattie respiratorie. Un approfondimento del genere è quanto mai opportuno, ma anche complesso, in quanto coinvolge moltissimi aspetti della scienza interconnessi tra loro: l’epidemiologia, la tossicologia, la virologia, l’immunologia, la chimica, la biologia, la fisica, la meteorologia, e altri. Uno studio, quindi, articolato, che richiede competenze diverse. Ma proprio per questo il Veneto, che dispone di una rilevantissima quantità di dati, può garantire un importante contributo”.
L’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di infezioni delle basse vie respiratorie,
particolarmente in soggetti vulnerabili, quali anziani e persone con patologie pregresse, condizioni che caratterizzano anche l’epidemia di COVID-19. Le ipotesi più accreditate indicano che un incremento nei livelli di polveri sottili rende il sistema respiratorio più suscettibile all’infezione e alle complicazioni della malattia da coronavirus. Su questi temi occorre uno sforzo di ricerca congiunto inter-istituzionale.
Nel realizzare lo studio, si terrà conto del fatto che la diffusione di nuovi casi segue le modalità del contagio virale e quindi si muove principalmente per focolai (cluster) all’interno della popolazione e si seguiranno approcci e metodi epidemiologici per lo studio degli effetti dell’inquinamento atmosferico in riferimento alle esposizioni sia acute (a breve termine) che croniche (a lungo termine), con la possibilità di controllo dei fattori socio-demografici e socio-economici associati al contagio, all’esposizione a inquinamento atmosferico, all’insorgenza di sintomi e gravità degli effetti riscontrati tra i casi di Covid-19. Gli obiettivi dello studio epidemiologico nazionale saranno centrati sul ruolo dell’esposizione a Pm10 e pm2.5 nell’epidemia nelle diverse aree del paese, per chiarire in particolare l’effetto di tale esposizione sulla distribuzione nello spazio e nel tempo dei casi, gravità dei sintomi e prognosi della malattia, distribuzione e frequenza degli esiti di mortalità. La risposta a tali quesiti dovrebbe essere associata a fattori quali età, genere, presenza di patologie preesistenti alla positività al virus, fattori socio-economici e demografici, tipo di ambiente di vita e di comunità (urbano-rurale, attività produttive).