The Nest: l’amplesso del cinema horror italiano
In una grande tenuta di campagna una ricca famiglia si è isolata dal mondo esterno, coltivando i propri interessi e soprattutto crescendo con riguardo il piccolo Samuel (Justin Korovkin), una ragazzino costretto sulla sedia a rotelle a causa di un incidente automobilistico con il padre che si deduce sia deceduto in quest’ultimo.
Tutto sembra proseguire come di consueto nella vita del giovane, finché non arriveranno alla tenuta un vecchio signore accompagnato da una giovane ragazza, la quale accenderà l’interesse di Samuel per ciò che si trova al di fuori dei confini di casa sua.
Sembrerebbe essere stato un fulmine a ciel sereno l’arrivo di “The Nest – Il Nido” nelle sale italiane, film scritto e diretto dal regista barese Roberto De Feo, arrivando a suscitare notevole scalpore tra gli appassionati, creando critiche discordanti ed ad un incasso notevole per il tipo di cinema proposto.
Di fatto “The Nest” è risultato essere il miglior film d’esordio italiano per il genere horror al box office, riuscendo ad attirare l’interesse delle produzioni americane che sono già all’opera per farne un remake.
Mica male. Eppure nel cinema nostrano si preannunciava già un grande ritorno del genere horror, con titoli freschi come “The End? L’inferno fuori” di Daniele Misischia o “Il signor Diavolo” di Pupi Avati, oltre a tutte le altre produzioni indipendenti e underground che da anni stanno lavorando con passione e dedizione per prendersi un piccolo spazio all’interno della cinematografia nostrana tributaria del genere horror. Tra quelli visti di recente, menziono “Stomach” di Alex Visani, che vi consiglio caldamente di recuperare.
Con “The Nest” possiamo constatare una decisa ripresa del cinema horror italiano, soprattutto sotto l’ottica di un respiro più internazionale e “The Nest” è un film che ha tutte le carte in regola per essere esportato e riconosciuto come opera di pregio.
Roberto De Feo confeziona un film grottesco attraverso una regia lenta ed una fotografia cupa e cristallina che esalta l’angoscia, la paura, la violenza dei suoi personaggi e fa sì che la narrazione scorra senza intoppi, se non con qualche leggero errore in fase di montaggio. Inoltre la storia si permette di soffermarsi su lievi momenti di tenerezza che svelano il lato più dolce e drammatico del nostro giovane protagonista e di chi gli sta vicino.
Ma la vera figura preponderante all’interno della narrazione è quella di Elena, la madre di Samuel, interpretata in modo eccezionale da Francesca Cavallin. Una madre autoritaria, come poteva essere Margaret White in “Carrie – Lo sguardo di Satana”, ma che giungerà ad un risvolto meravigliosamente celato nel finale della storia dovuto ad un improvviso cambiamento nella traccia narrativa che rivelerà le ragioni del suo comportamento nei confronti del figlio e di tutti coloro che vivono all’interno della tenuta.
Un film splendido, scritto e diretto in un modo incredibile che nutre i suoi riferimenti ad opere meravigliose come “The Village” di M. Night Shyamalan o “The Others” di Alejandro Amenábar, ma che riesce a riscoprire una visione sinuosa del cinema italiano che non si sofferma su un certo tipo di cinema più farsesco, ma lavora su più aspetti mostrando la paura di ciò che il mondo è diventato e il risultato ottenuto è decisamente qualcosa che merita attenzione.