Industria, dati trimestrali: nel Vicentino il lockdown provoca un crollo peggio del 2009
Crollo della produzione, delle vendite nel mercato interno e nelle esportazioni all’estero. L’emergenza sanitaria e il conseguente lockdown spazzano via la crescita economica e minano presente e futuro del mondo del lavoro, anche se almeno sul mercato in Europa si è retto di fronte all’onda d’urto della pandemia. I dati sull’industria vicentina, infatti, relativi al secondo trimestre del 2020, risultano tanto perentori quanto inquietanti per gli imprenditori della categoria, secondo quanto emerge dallo studio di Confindustria per il periodo aprile-giugno. Anche se si auspica una sorta di effetto-rimbalzo. Regge invece l’occupazione, seppur in calo del 2% circa, legate in buona parte ai lavoratori stagionali.
In generale è andata peggio della crisi più recente, quella avvenuta nel 2009 con strascichi negli anni successivi. Ma non per tutti: il 77% delle aziende nostrane denuncia un calo di produzione in base al campione raccolto, quindi circa un quarto non avrebbe risentito in maniera determinante dell’effetto coronavirus. Tra queste il 10,4% incrementa il volume d’affari rispetto ad un anno fa, nei settori che non hanno subito bruschi stop di produzione.
A diffondere cifre e letture dei numeri – si tratta dell’indagine n° 148 – è l’associazione industriali, dalla sede berica di piazza Castello e per bocca del suo presidente Luciano Vescovi. “Come prevedibile – commenta lui stesso – il periodo del lockdown, che coincide con questa rilevazione, ha provocato un crollo della produzione e delle vendite sul mercato interno. Il riflesso si è avuto anche sull’export anche se, come sempre, il mercato comunitario è quello su cui le aziende vicentine si esprimono meglio e quindi quello che, in questa tragedia, ha sofferto meno”.
PRODUZIONE E MERCATI. La produzione industriale del campione analizzato fa segnare un -23,1% rispetto al II trimestre 2019, un calo superiore al peggior dato che si registrò durante la crisi del 2009 (-19,63% del secondo trimestre). A fronte del 77% delle aziende che dichiara cali della produzione, solo il 10,4% delle ditte evidenzia aumenti produttivi. Il numero di aziende che denuncia un livello produttivo insoddisfacente rappresenta il 71% del totale. Le vendite sul mercato interno sono a -24% (il precedente record negativo fu il -17,6 del medesimo trimestre del 2009) mentre l’export verso i mercati extra UE registra un -22% (-15,2 nel 2009). Sotto la soglia psicologica del -20% fa segnare il calo dell’export verso i mercati UE che chiudono il trimestre del lockdown a -17,9%, ‘solo’ due punti percentuali peggio del record della crisi 2009. “È un periodo straordinario e bisogna contestualizzare i crolli nella giusta maniera – continua Vescovi -. Le cause non si devono cercare all’interno del sistema economico e finanziario, come fu per la crisi, quindi da una parte c’è la speranza che un rimbalzo possa esserci già nel terzo trimestre e qualche segnale in questo senso c’è. Dall’altra dobbiamo comunque rimboccarci le maniche e trovare soluzioni per adattarci al nuovo contesto per poter riprendere a produrre e proporre i nostri prodotti e servizi sui mercati mondiali prima e meglio della concorrenza”.
ORDINI, LIQUIDITÀ E INCASSI. La profondità dell’impatto sul sistema industriale è confermata anche dalla situazione degli ordini. La consistenza del portafoglio ordini rimane stabile per il 18%, aumenta per il 15% mentre cala per il 67% delle aziende ed il periodo di lavoro assicurato supera i tre mesi soltanto nel 15% dei casi. Rispetto al I trimestre 2020 diminuisce leggermente la percentuale di aziende che denuncia tensioni di liquidità (25%), mentre aumenta in modo sensibile la percentuale di imprese che lamenta ritardi negli incassi (41%). Inoltre, i prezzi delle materie prime sono leggermente diminuiti (-0,8%), mentre i prezzi dei prodotti finiti sono rimati pressoché invariati.
OCCUPAZIONE. Nel periodo aprile-giugno 2020 l’occupazione segna una riduzione del numero di addetti pari al -1,97%. Il 68% delle aziende dichiara di aver mantenuto inalterato il proprio livello occupazionale, l’11% l’ha aumentato, mentre il 21% ha ridotto la propria forza lavoro. “Che l’occupazione sia calata di poco rispetto al crollo produttivo – precisa il Presidente di Confindustria Vicenza – è anche qui facilmente spiegabile. Da una parte Vicenza è una provincia fortemente manifatturiera e quindi, rispetto ad altre zone magari più legate al turismo, fa meno ricorso a stagionali che quest’anno, purtroppo, hanno subito più di tutti gli effetti delle chiusure e delle restrizioni. Dall’altra, chiaramente, c’è stato il blocco dei licenziamenti e l’utilizzo molto diffuso, in quanto necessario vista la chiusura forzata, della cassa integrazione Covid”.