Battaglia ambientale “No Pfas”: consumatori esposti a rischi. Novità nel processo Miteni
“L’unico limite tollerato è zero“. Insistono a dirlo – e a comunicarlo con ogni mezzo conosciuto – a gran voce le donne e in generale le famiglie che hanno abbracciato la crociata ambientale del comitato “Mamme No Pfas“, nei giorni scorsi scese ancora una volta a Roma per presentare le proprie richieste e che ora diffondono anche un video con alcune testimonianze dirette. E, intanto, sul fronte giudiziario, si ricongiungono due diversi procedimenti giudiziari con sotto accusa la Miteni di Trissino.
A supporto delle tesi promosse giunge anche anche un nuovo studio condotto da “European Environment Agency“, l’agenzia continentale che si occupa di fornire dati certificati su sviluppo e tutela dell’ambiente, che dichiara come “le fonti di esposizione alle sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) includono acqua potabile, cibo, prodotti di consumo e polvere”. In pratica, tutte le fonti di approvvigionamento per l’uomo.
In un comunicato diffuso stamattina l’associazione che riunisce Padova, Vicenza e Verona riepiloga gli studi sulla materia offerti negli ultimi anni, alzando ulteriormente l’asticella del livello di allarme. “Negli alimenti, i pesci e i molluschi – si legge in modo sintetico citando le fonti di ogni affermazione contenuta – sono fonti significative di esposizione ai Pfas. Il bestiame allevato su terreni contaminati può accumularne nella carne, nel latte e nelle uova. L’esposizione diretta può anche avvenire tramite creme per la pelle e cosmetici o tramite aria da spray e polvere da tessuti rivestiti con Pfas. C’è poca conoscenza sull’assorbimento attraverso la pelle e i polmoni, che possono essere gravemente colpiti. L’esposizione dei consumatori può avvenire anche attraverso altre vie come pavimenti, legno, pietra e prodotti per la lucidatura e la pulizia delle auto”.
Una premessa che porta ancora una volta a contestare il limiti di legge vigenti, considerati dalla promotrici del movimento nocivi per la popolazione venuta a contatto con le sostanze disperse nell’ambiente, e indirettamente attraverso il consumo di acqua, prodotti della terra e animali trattati. “I gruppi che possono essere esposti ad alte concentrazioni di Pfas includono lavoratori e persone che mangiano o bevono acqua e alimenti contaminati e materiali trattati con queste sostanze e che sono a contatto con gli alimenti. Nonostante tutti i numerosi studi scientifici, i limiti proposti nel Collegato ambientale 2020 sono elevatissimi. L’unico limite che tutela la vita è zero – come viene ribadito in conclusione”.
Intanto nuovo capitolo del processo che vede sotto esame giudiziale l’operato dell’azienda Miteni che sorgeva in territorio di Trissino. Nuovo rinvio deciso dal Gup nell’udienza preliminare odierna, stavolta al 30 novembre prossimo, al fine di riunire due procedimenti riconducibili agli stessi reati sul tema ambientale e sempre con sotto accusa i vertici della multinazionale chimica. La Regione Veneto, rappresentata dall’avvocato Fabio Pinelli, è costituita come parte civile. Scongiurato così lo “spezzatino” di dibattiti, giudizi e sentenze che altrimenti si prospettava in “doppia causa”.