“Pablito”, eroe del Mundial ’82 e ambasciatore del calcio biancorosso, non c’è più
Paolo Rossi ha lasciato, per la seconda volta, il calcio. Non più solo quello giocato, dopo il ritiro al termine della sua memorabile quanto travagliata carriera agonistica. Ma anche quello parlato, lasciando senza voce anche milioni di italiani malati di pallone. Come lui che, però, di recente ha dovuto affrontare anche una malattia vera, cruda e inesorabile, tanto subdola da strappare a 64 anni di età il bomber del Mundial ’82 all’immaginario collettivo, e ai sognatori biancorossi il proprio beniamino di quel Lanerossi Vicenza che sfiorò lo scudetto nell’anno mirabile 1978. Con questa maglia gloriosa Rossi realizzò 60 reti in campionato in tre annate, di cui la prima in serie B.
Il capocannoniere dei sogni di tanti sportivi si è spento a Siena, in ospedale, la scorsa notte, vinto in una partita impari da un male di cui pochi erano a conoscenza. A darne l’annuncio la moglie la moglie Federica Cappelletti, insieme ai tre figli avuti in due matrimoni. “Pablito” era nato a Prato, in Toscana, nel 1956. Ma a Vicenza aveva lasciato il cuore, vivendoci a lungo, dopo averla conquistata e fatta innamorare per sempre. Anche se fu capace dell’ardua impresa di “fare gol” nel cuore di tutti gli italiani, dribblando le fazioni del tifo.
E’ il calcio mondiale a listarsi a lutto, così come esattamente 15 giorni fa, alla morte di un altro campione, Diego Armando Maradona. I due si sfidarono più volte sul campo, in serie A, dal 1984 al 1987, anno quest’ultimo di fine carriera di Paolo Rossi, ma il duello che resta nell’epicità del calcio è quello andato in scena nel mondiale ’82: Italia-Argentina 2-1. Nessuno dei due segnò un gol in quell’occasione, entrambi furono ammoniti, di loro insieme rimane una foto.
Al Lanerossi Vicenza Paolo Rossi giunse nel 1976, quando non era ancora Pablito e non giocava ancora da centravanti, ma solo una giovanissima promessa dal fisico ritenuto gracile per sfondare, ma il cui talento e fiuto da bomber di area di rigore lo resero un’icona del calcio biancorosso prima, nazionale poi e, infine, dopo una parentesi nera con la squalifica per il totoscommesse, di tutto il mondo del pallone. Grazie ai suoi gol-gioiello i biancorossi di G.B. Fabbri – “il mio secondo padre lo definì” – si arrampicarono in serie A nella prima stagione di Rossi allo Stadio Menti, diventando subito l’idolo dei tifosi sugli spalti stracolmi in quella stagione: 21 reti all’esordio in B e catapulta per sfidare squadre come Milan e Juve, di cui avrebbe poi vestito le maglie nella piena maturità.
Al primo anno in serie A subito l’ascesa alla gloria riservata ai campioni, già a soli 24 anni di età: la stagione 1977/1978 vede i biancorossi del club presieduto da Farina lottare per lo scudetto, da matricola, piazzarsi alle spalle solo della Juve – 3-2 per i bianconeri nel duello e scontro diretto decisivo – e Rossi capocannoniere assoluto con 24 gol, oltre a guadagnarsi la prima convocazione in Nazionale e i Mondiali di Argentina. La terza, e ultima, stagione in biancorossa, vide il Vicenza travolto dalle pressioni esterne e il suo bomber più prolifico a lungo infortunato. Realizzò comunque 15 gol, ma non bastarono per mantenere la serie A.
La sua carriera è poi proseguita al Perugia, alla Juventus che lo aveva acquistato da 16enne nelle giovanili dove esordì in prima squadra in Coppa Italia, poi Milan e Verona in una fase discendente precoce a causa di uno stillicidio di infortuni che lo tormentarono nella seconda parte della sua carriera. Dopo aver chiuso con il calcio giocato, si è dedicato alla carriera di dirigente sportivo e di commentatore tv, apprezzato particolarmente in Sky. Negli ultimi mesi il suo microfono era rimasto spento, per non meglio precisati motivi di salute. Con l’avvento della proprietà di Renzo Rosso al Vicenza, dal 2018 Paolo Rossi entrò a far parte della governance del club, oltre ad accettare il ruolo simbolico di ambasciatore del calcio biancorosso nel mondo.