Un “Dante clandestino” e inedito nel romanzo del critico vicentino Marco Cavalli

D. Peterlin, Dante in esilio, 1865, Vicenza, Museo Civico Palazzo Chiericati

Quest’anno si celebrano i 700 anni della morte di Dante Alighieri, “padre nobile” della lingua italiana. Ecco l’intervista a Marco Cavalli, critico letterario e scrittore vicentino in questa intervista ci racconta il “Sommo Poeta” in una veste inedita, così come la racconta nel suo ultimo libro.

Un’intervista a cui fanno da sfondo alcuni dei più famosi ritratti di Dante.

La prima curiosità è sapere: perché un libro su Dante?                                     “Perché questo è l’anno giusto per farne uscire uno. A parte gli scherzi, Dante interessa a tutti, permette di allargare il discorso a questioni che non sono di natura letteraria”.

Per esempio?

“Beh, il rapporto con le origini, l’invenzione del passato. Prendi Dante, punto di partenza della lingua e della letteratura italiane. Sulla sua vita sappiamo tutt’ora pochissimo. Il ritratto che ci siamo fatti di lui è condizionato dal ritratto che Dante ci ha lasciato di sé. Ma questo autoritratto ha una particolarità: si trova all’interno della Commedia. Questo significa che quando parliamo di Dante evochiamo una figura un po’ storica e un po’ mitica. Ad avere il sopravvento è la componente mitica, che riempie le lacune del ritratto storico e ne trasfigura i lineamenti. Non c’è studioso, per quanto accorto, che non integri la biografia dantesca con informazioni su Dante che riguardano più il personaggio che nella Commedia dice ‘io’ che non il suo autore. Una confusione quasi inevitabile, incoraggiata, se non predisposta, da Dante stesso”.

Botticelli, ritratto di Dante, 1495, Ginevra, coll. priv.

A questo fa allusione il titolo del tuo libro, Dante clandestino?

“Anche quando lo si guarda di fronte, Dante ha sempre un profilo di scorta. Hai notato che i migliori ritratti di Dante sono quelli che lo raffigurano di profilo? Frontalmente, Dante non appare più esattamente lo stesso. Ha una faccia, come dire? troppo conclusa, che non assoceresti all’autore della Commedia. Il profilo gli è più congeniale. La parte visibile comunica energia, ma la fonte di quell’energia è la metà non in vista del volto. Esistono a quanto pare centinaia di versioni del profilo di Dante, che però non cambia mai, non si sviluppa. Forse perché manca di autenticità. O forse perché la parte visibile e ormai stereotipa non può stare senza la parte nascosta e metamorfica. Il Dante che io chiamo ‘clandestino’ è la sezione del suo profilo che Dante ci nega per via della posa geroglifica in cui si presenta a noi”.

Vuoi dire che la figura di Dante è di per sé misteriosa?

“Voglio dire che se si vuole conoscere Dante in modo non superficiale, bisogna spingersi agli estremi, giocare con le carte distribuite da lui. Bisogna prendere sul serio il personaggio che Dante ha deciso di chiamare col suo nome, considerarlo nella dimensione in cui si muove, credere alle cose che dice e che fa in quella dimensione. In altre parole, bisogna prendere atto che se Dante ha scelto di apparire dentro la Commedia, è anche perché la Commedia rappresenta per lui un’azione compiuta nel mondo reale, un’azione i cui scopi trascendono quelli di un’opera letteraria”.

Quali sono questi scopi?

“Rientrare nell’agone politico del proprio tempo passando per la porta di servizio della letteratura. Procurare all’Italia una lingua e una letteratura che abbiano un respiro finalmente nazionale. Il prestigio e l’autorevolezza della letteratura quali succedanei della mancata centralità del potere politico”.

Insomma, Dante sarebbe il garante del prestigio della nostra letteratura.

“Ancora adesso il prestigio è il solo attributo della letteratura italiana su cui tutti concordano, inclusi gli sprovveduti e gli analfabeti di ritorno. Il prestigio è anche quell’aspetto delle patrie lettere che ci esonera dal conoscerle e soprattutto dall’amarle. La nostra letteratura non pretende di essere conosciuta, ma di essere riverita. Si aspetta l’ossequio, il riconoscimento della propria importanza. Hai fatto caso a quanti in Italia si fregiano arbitrariamente della qualifica di scrittore? Non c’è soubrette, anchorman, skipper, influencer e principe del foro che non ambisca ad aggiungere il titolo onorifico di scrittore al proprio curriculum. Da dove credi provenga questa sopravvalutazione del carisma del letterato, che va di pari passo con la scarsa nozione e la nessuna cura della parola scritta? Sono retaggi rinascimentali, a loro volta continuatori di quell’ossessione per la grandeur letteraria che ha avuto in Dante e in Petrarca i suoi pionieri”.

Agnolo Bronzino, Dante Alighieri, 1530 c., Washington, National Gallery

Leggendo il tuo libro mi pareva di aver capito che Petrarca è un po’ agli antipodi di Dante…

“Differiscono per l’oggetto della loro ossessione. Dante scommette sull’avvenire della lingua volgare, Petrarca sul ritorno d’attualità del latino. Dante ha scelto di nobilitare il volgare. Per lui nobilitare una lingua voleva dire trattarla letterariamente in modo grandioso. Pensa all’articolazione della Commedia in tre cantiche. Esteriormente corrisponde a una graduatoria di tipo morale. Invece è soprattutto una suddivisione dei registri della lingua, partendo dal più umile (Inferno) per arrivare al più nobile (Paradiso). Sembra proprio che Dante intenda dare un saggio esauriente delle possibilità espressive del volgare. Ma la grandiosità cui pensa Dante non è solo un attributo di eccellenza estetica; deve avere un riverbero extra-letterario, produrre degli effetti sociali. Una lingua elegante, infatti, si presta a essere imitata. Le istituzioni la prendono a esempio, viene insegnata a scuola ecc. Il prestigio culturale di una lingua facilita l’identificazione tra le persone che la usano”.

Petrarca che ruolo ha in tutto questo?

“Scomparso Dante, Petrarca e il petrarchismo si impongono e dettano legge in ambito letterario. Il risultato di questa supremazia è che il fiorentino usato da Dante nel suo registro più alto e solenne viene imbalsamato, messo in vetrina e indicato quale modello tassativo da imitare, allo stesso modo con cui Petrarca scriveva le sue opere prendendo a modello il latino classico. Ma c’è un’utopia politica anche sullo sfondo della predilezione di Petrarca per il latino”.

Perciò nel tuo libro sono frequenti i riferimenti al Dante politico?

“Secondo me la Commedia è una specie di compromesso tra la carriera politica di Dante, prematuramente interrotta, e la sua vocazione letteraria. Dopo l’esilio, la letteratura rimane la sola strada percorribile dall’uomo d’azione che Dante continua a sentirsi nonostante tutto. Una strada che doveva riportarlo a Firenze, dentro gli avvenimenti da cui era stato estromesso. Questa esclusione dalla storia a lui contemporanea è un vuoto che risuona a lungo e dolorosamente nel poema. Lo si coglie per esempio in una particolarità dei dannati, i quali conoscono il futuro dei vivi ma niente sanno né possono sapere del presente”.

Insisti parecchio sulla cronologia, e non solo su quella di Dante. Anche quella delle tue stagioni di lettura della Commedia sembra contare molto.

“Ho letto per la prima volta la Commedia nel 1989, anno in cui la divisione del pianeta in due emisferi cessa di esistere e si inaugura l’era del capitalismo permanente. La cosa sorprendente è che quando le due parti antagoniste hanno smesso di contendersi il mondo, la parte rimasta in vita ha iniziato a rivolgere contro di sé la propria aggressività. Cos’altro è la globalizzazione, se non una ferocia che il capitalismo sfoga su se stesso in mancanza di alternative? Tema che più dantesco non si può. L’Inferno è pieno di immagini di autodistruzione, talvolta assai crude, legate a figure di fiorentini illustri e anonimi che Dante conosceva bene. Firenze ha una fama di litigiosità che risale molto indietro nel tempo. Dante viene esiliato a causa di uno scisma interno alla fazione politica alla quale apparteneva”.

Il tuo è dunque un invito a leggere tutta la Commedia invece di accontentarsi di assaggiarla a piccoli bocconi?

“Ancora oggi la Commedia è considerata un grande museo di cui solo alcuni locali sono aperti al pubblico. I visitatori sostano nelle poche stanze in cui vengono introdotti, fantasticano sulla magnificenza delle altre e così si risparmiano di attraversarle. L’effetto che fa la Commedia percorsa da cima a fondo sono in pochi ad averlo sperimentato”.

Dante clandestino nasce da una lettura integrale del poema dantesco?

“Il libro è il resoconto molto narrato di un’esperienza di lettura integrale, anzi, di due letture integrali della Commedia affrontate a distanza di cinque anni l’una dall’altra. Esperienze che niente hanno a che fare con lo studio, cioè con la conoscenza scolastica di Dante. Le ho fatte per scrollarmi di dosso l’immagine attillata di Dante che mi veniva presentata a scuola. C’era anche la presunzione giovanile di imbattersi in un tratto di poema non calpestato, l’opposto di quel che si cerca normalmente nei libri, che è il sentimento rassicurante di visite precedenti. Non la chiamerei neppure presunzione. È semmai il desiderio di quel rapporto ravvicinato, di natura personale, che ogni lettore sogna di avere un giorno con i testi-chiave della cultura da cui proviene. Sogni del genere non erano insoliti nel periodo della mia circumnavigazione in solitaria della Commedia. Erano sogni che si sognavano fino in fondo, prendendoli alla lettera, cioè restandoci dentro senza uscirne quando diventavano oscuri o stancanti, e senza volerli decifrare a tutti i costi per cavarci una morale, un tornaconto. Per male che andasse, era il sogno a interpretare te”.

Roba del secolo scorso, in ogni caso.

“Non lo so. So solo che simili tour de force richiedono energie da sciupare e una buona dose di sconsideratezza, e io non ho più né le une né l’altra. Non credo che la gioventù di adesso abbia meno forza d’incoscienza, solo la indirizza altrove. Chiunque si imbarcasse oggi in una lettura completa della Commedia esigerebbe come minimo uno sponsor che finanzi l’impresa, previa campagna pubblicitaria da attivare sui social”.

 

Marco Cavalli, “Dante clandestino”, Manuzio Società Editrice 2020, pp. 140, euro 15