Rapina a mano armata con dipendenti legati: arrestati l’intero commando e “la talpa”
Lo scorso 24 settembre 2020 – era un giovedì, intorno alle 12.30 – si macchiarono di un doppio grave reato: quello di rapina pluriaggravata a mano armata e quello di sequestro di persona. Arrivando al punto di imbavagliare e legare due dipendenti durante la pausa pranzo e tenerli sotto scacco per alcuni minuti, per il tempo necessario per rubare oro e gioielli del valore di 62.378 mila euro dopo aver fatto irruzione armati fino ai denti. Complice dell’assalto ai preziosi un dipendente della ditta, che secondi gli investigatori aveva lasciata aperta una porta sul retro per favore l’incursione dei predatori.
A compiere fisicamente il raid all’interno della Galvanica Metalli Preziosi – la Gmp snc, azienda orafa attiva da oltre 35 anni nella zona – di via Monte Asolon furono in tre, di cui due con pistola in pugno, più un “palo” all’esterno tutti con i volti travisati per non farsi riconoscere. Ma sono in tutto ben 11 i nominativi coinvolti e 10 quelli sottoposti a misure cautelari, per aver fornito supporto logistico, effettuato sopralluoghi prima del colpo e aver messo a disposizione un’auto utilizzata nel colpo, una Fiat 500 bianca.
Da quel terribile giorno di fine settembre sono passati quattro mesi e mezzo, lasso di tempo che non è stato speso invano. I carabinieri della Compagnia di Bassano hanno portato avanti le indagini fino a dare un volto e un nome a ciascuno dei membri della banda che fece irruzione dalla Gpm di San Giuseppe di Cassola. Si scopre oggi che già lo scorso 13 ottobre, quindi una ventina dopo l’assalto del commando armato, due dei componenti furono arrestati a Torino dai militari dell’Arma di Mirafiori: si tratta di Antonio Rosi e Dario Russo, cittadini italiani ricercati e noti pregiudicati. Gli investigatori non si accontentarono certo dei due primi “pesci grossi” caduti nella rete, ritenuti componenti del terzetto che fece irruzione a Cassola, proseguendo l’attività investigativa con pedinamenti, testimonianze e ricostruzione degli intrecci tra persone a vario titolo coinvolte nella pianificazione del colpo all’azienda orafa supportati da scienza e tecnologia. Essenziali in questa fase la mole di intercettazioni telefoniche acquisite.
Proprio grazie allo strumento del riconoscimento papillare si è arrivati ad un terzo nome, quello di Luigi Spavento, grazie al contributo nell’operazione “Brass & Gold” offerto dai laboratori del Ris di Parma. Ne mancava soltanto uno, ma intanto si iniziavano a tessere le fila dell’intero piano criminoso ed allargare il cerchio delle indagini e degli indagati. Fino a giungere ai giorni nostri, con stamattina prima dell’alba a far scattare l’ultimo blocco del piano d’azione, andando a “prelevare” alle 6 del mattino tutti gli i coinvolti a vario titolo nel raid del 24 settembre. Nove uomini e una donna. Più pattuglie di carabinieri hanno suonato in contemporanea a campanelli di alloggi di Colceresa, Cassola, Bassano del Grappa, Bari, Milano, Napoli e Ceriano Laghetto in Monza Brianza per gli arresti di tutte le persone ritenute ramificazioni della banda che ha messo a segno il piano criminale.
Disposta la detenzione in carcere per i tre italiani sopra citati, vale a dire Antonio Rosi, Dario Russo e Luigi Spavento, ai quali si aggiunge Kacem Jamili, considerati gli esecutori materiali della rapina a San Giuseppe di Cassola. Agli arresti domiciliari è finito invece il vicentino Riccardo Zonta, ritenuto il “Cavallo di Troia” all’interno dell’azienda, dipendente della stessa e complice-chiave per compiere il blitz andando “a colpo sicuro”. Unica donna indagata è Giosiana Beretta, che in Brianza avrebbe offerto una base logistica a parte del gruppo criminale: per lei disposto l’obbligo di firma in caserma. Gli altri soggetti considerati parte integrante del piano rispondono ai nomi di Carlo Scudiero, Marco Bonotto, e il milanese Luigi Pompeo, indagati chi per aver agevolato il commando nei giorni precedenti effettuando per conto degli esecutori dei sopralluoghi, chi offrendo loro alloggio e un’autovettura per effettuare il colpo, simulandone il furto. A ordire nei dettagli e a fare da capofila della rapina che, negli intenti dei rapinatori, doveva fruttare un bottino milionario ben più corposo è ritenuto Giovanni Flachi, nome legato ad ambienti criminali.