Uccise l’ex compagna col coltello da sub. L’omicidio non era premeditato: 20 anni al killer
A distanza di circa un anno e mezzo da quel sanguinoso giorno di fine primavera del 2019, la sentenza di condanna a 20 anni di reclusione nei confronti dell’omicida di Marianna Sandonà è stata depositata dal Tribunale di Vicenza. Rendendo noti dettagli importanti, tra cui spicca la considerazione accolta in sede di giudizio riguardo la mancata premeditazione dell’assassinio dell’ex compagna, compiuto dal vicentino – di Torri di Quartesolo – Luigi Segnini, che agì in preda alla rabbia del momento. Uccidendo in modo cruento, con 18 fendenti sferrati con un coltello da sub prelevato da un cassetto, la 43enne di fronte al garage della sua abitazione di Montegaldella, in via Vespucci.
Un caso di femminicidio, quello di Montegaldella, che divenne un doloroso simbolo della necessità di prevenire altri episodi analoghi, in vista dell’imminente introduzione del “codice rosso” a tutela delle donne. A rimanere a terra gravemente ferito fu l’amico di lei presente al momento del delitto, in supporto a Marianna, visto che la vittima temeva la reazione dell’ex fidanzato dal carattere turbolento, il quale pretendeva di recuperare alcuni effetti personali dopo la rottura del legame affettivo. Marianna aveva paura di lui. Il killer poi tentò vanamente di togliersi la vita, nei minuti successivi, mentre Zorzi in quel tragico sabato 8 giugno fu trasportato d’urgenza in ospedale.
Le perizie degli specialisti allegate alla carte processuali indicano come l’assassino ai tempi 38enne avesse agito in seguito a un raptus senza freni, scatenato da un mix di rabbia e gelosia, dopo aver maneggiato l’arma da taglio da riporre in uno scatolone. Escludendo l’infermità di mente al pari dei propositi omicidi premeditati, e non riconoscendo l’aggravante della crudeltà dell’atto. E’ questo, in estrema sintesi, il quadro del delitto ricostruito dai magistrati chiamati a giudicare l’assassino della dipendente di una ditta di stampi di Mestrino, attraverso il rito abbreviato. Con autore del delitto l’ex convivente, conosciuto proprio in ambito lavorativo. Un procedimento previsto dall’ordinamento che ha annullato il dibattimento, vista la sostanziale certezza della colpevolezza dell’imputato che ha richiesto e ottenuto, quindi, lo “sconto di pena” di un terzo sul totale della condanna complessiva, altrimenti di 30 anni. Da suddividere in 24 per l’omicidio e 6 per le lesioni gravi inferte alla terza persona presente. Da ricordare che il procuratore Blattner, in prima istanza, aveva invece chiesto l’ergastolo vista l’efferatezza del fatto di sangue, che fu registrato in formato audio dallo smartphone della donna uccisa.
Luigi Segnini, che oggi ha 40 anni ed è detenuto, di professione autotrasportatore, fu arrestato seduta stante dai carabinieri. Salvo sporadiche uscite legate alle indagini sul suo conto da quel giorno ha trascorso la sua vita in una stanza d’ospedale, tra terapia intensiva prima e in lungodegenza, e poi in una cella di prigione. La sentenza di condanna emessa da un’aula di giustizia e firmata dal giudice Antonella Toniolo risale al 7 gennaio scorso, a distanza di 17 mesi dal tragico fatto di cronaca nera che vide il paese di confine tra le province di Vicenza e Padova come cornice di una storia di sangue e con ancora una donna vittima di violenza, nella sua accezione più estrema. Con una seconda vittima per quanto sopravvissuta, l’amico padovano oggi 45enne, che riportò lesioni gravi ai polmoni e all’addome, rimanendo per settimane in coma farmacologico e in serio pericolo di vita prima di riprendersi gradualmente e iniziare la riabilitazione.
Sul piano economico, sulla carta il condannato dovrà risarcire con un milione di euro i coniugi Sandonà, vale a dire i genitori di Marianna, la quale aveva un fratello (a lui 250 mila euro). Rimane invece da quantificare, dopo la provvisionale di 50 mila euro già assegnata, il risarcimento nei confronti del sopravvissuto. Le parti in causa, Procura della Repubblica compresa e in particolare, potrebbero comunque ricorrere in Appello al secondo grado di giudizio, dopo aver esaminato con attenzione il fascicolo da 36 pagine che riporta le motivazioni della “prima” sentenza.