Tamberi-Barshim, l’oro “per due” che non piace a don Marco Pozza
C’è chi dice che è stato un gesto di grande sportività e c’è chi dice “no”. In questo caso a dire no è don Marco Pozza, teologo e parroco del carcere di Padova molto vicino a Papa Francesco. Il dissenso del sacerdote – che non è passato inosservato – è per la questione Tamberi-Barshim e la loro medaglia d’oro nel salto in alto a Tokyo. L’azzurro e il qatariota, dopo aver sbagliato entrambi la prova dei 2.39 metri, hanno scelto di condividere il podio come prevede il regolamento anziché andare allo spareggio. Un gesto che ha portato a definire il titolo olimpico di Tamberi e Barshim “l’oro dell’amicizia”. Ma don Marco Pozza è di tutt’altra idea e lo scrive a chiare lettere nel suo sito “La strada di Emmaus” in un articolo dal titolo “Un oro rimasto sospeso”.
“Chiaramente l’oro è d’oro, non si discute: e loro due, regolamento alla mano, sono d’oro. Loro sono l’oro, dunque. Com’è fuori discussione il tanto-di-cappello da togliersi di fronte al gesto atletico di Gianmarco Tamberi e di Mutaz Essa Barshim: non è da tutti saper estrarre dal cilindro di un imprevisto, di un incidente, gli ingredienti giusti per miscelare una vittoria” scrive don Pozza sottolineando anche che “Io lo applaudo Tamberi, pur non standomi affatto simpatico per quelle affermazioni gratuite formulate sul conto di Alex Schwazer a Rio 2016. Ma una vittoria così, oggi, va applaudita, il suo gesto atletico va contemplato, la magia è servita direttamente sugli schermi. Chapeau, anche da chi, nel cuore, continuerà a tifare per sempre Alex Schwazer”.
Ma poi affonda il colpo: “Quest’oro olimpico del salto in alto – oro ex aequo – non è per niente bello. E’ forse un oltraggio all’epica della sfida. Non è nemmeno affascinante e forse, sotto-sotto, toglie un po’ della sua magia pure a chi lo indossa, anche se non l’ammetterà mai. Perché di campione, all’Olimpiade, ce n’è uno solo. E il campione-olimpico è un’immagine che per quattro anni resta impressa nella memoria collettiva”.
Per don Marco, insomma, l’immagine di due atleti che si mettono d’accordo per evitare lo spareggio è “quanto di più anti-agonistico” possa accadere in una competizione sportiva. “È un po’ come” – scrive – “se il capitano della Nazionale italiana di calcio, finiti i tempi supplementari si fosse messo d’accordo con quello inglese per evitare i calci di rigore [.] Invece hanno dovuta affrontare la lotteria dei rigori che è ingiusta, feroce, bastarda, cinica, ma è pur sempre l’unica chance per riuscire a chiudere una sfida”. Lotteria che per il parroco di Due Palazzi Tamberi-Barshim e non hanno affrontato.
Nel suo articolo don Pozza risponde preventivamente anche a quanti sostengono l’idea che la condivisione della medaglia sia stata una grande prova d’amicizia. Per il sacerdote “lo sport è un’altra cosa da un festival dell’amicizia cristiana: lo sport è sport, è un combattimento, e in un combattimento più che l’amicizia conta la correttezza. È al campo non ai sentimenti che si deve affidare l’ultima parola, altrimenti tutte le variabili hanno diritto d’essere ascoltate prima di chiudere faccenda. Perché, a essere sinceri, spartire a metà una conquista è non sentirla totalmente propria per nessuno dei due, pur meritandosela entrambi. Piaccia o non piaccia, è così, alla fine della fiera”.
E, poi, rincara la dose facendo riferimento ad ambienti a lui familiari: “Questi finali, anche se concessi dal regolamento (è la prima volta in 125 anni di Olimpiade che accade) lasciamoli alle partitelle dell’oratorio, dove per la voglia di non dispiacere a nessuno si finisce sempre per pareggiare”. Nel frattempo sulla pagina Facebook di don Marco, sul post in cui condivide l’articolo, ci sono centinaia di commenti di persone per la maggior parte contrariate e infastidite dalle parole del sacerdote. E forse nei prossimi giorni non mancherà qualche risposta, magari da qualche “addetto ai lavori” oppure anche dai diretti interessati.