Patrick Zaki, terminata l’ennesima udienza. La sorella: “sul processo silenzio preoccupante”
In Egitto si è conclusa l’ennesima udienza sulla custodia cautelare di Patrick Zaki, il cui esito non è ancora stato reso noto. Lo si è appreso a Il Cairo dove oggi, diplomatici delle Ambasciate di Italia, Regno Unito e Usa hanno segnalato al giudice l’interesse per il caso e la volontà di riprendere ad assistere alle udienze. Da mesi infatti, agli esterni, diplomatici compresi, non è più consentito l’accesso al Tribunale per la sicurezza di Stato, annesso al carcere di Torah, dove è detenuto lo studente dell’Alma Mater di Bologna.
E mentre continua l’azione di sensibilizzazione delle Ambasciate, per il rilascio di Patrick, il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury spera che l’ennesima udienza non si riveli, ancora una volta, solo una farsa. “L’ennesima udienza per Patrick Zaki si è conclusa e ora, come succede sempre, iniziano lunghe ore di attesa per conoscerne l’esito. C’è da augurarsi che 18 mesi e mezzo di detenzione, senza potersi difendere, per Patrick possano essere sufficienti. Aspettiamo, sperando che per Patrick sia il momento in cui possa finire questo incubo”.
Ma la situazione non è semplice. L’attenzione internazionale sollevata sul caso Zaki ne ha fatto ormai un simbolo in una lotta di potere tra Stati, in particolare tra Italia ed Egitto. “C’è qualcosa di molto più grande di Patrick e del suo attivismo dietro la sua detenzione”. Ne è convinta Marise Zaki, sorella dello studente di Bologna. “Tanti prigionieri come lui vengono rilasciati mentre su mio fratello pende costantemente la minaccia di una sentenza di condanna e di una lunga carcerazione. Il caso di Patrick ha zero trasparenza e non riceve supporto, considerando che le accuse nei suoi confronti sono un’enorme montatura”.
La giovane sottolinea come sul processo sia calato un preoccupante silenzio: “nessuno ci fornisce informazioni e aiuto sul suo caso. Siamo nel totale smarrimento. Le nostre richieste cadono nel vuoto, non sappiamo quando sarà fissata la prossima udienza, quali siano le sue condizioni, i suoi bisogni e i suoi problemi. L’Eipr (la Ong con cui Patrick collaborava), aveva chiesto che Patrick fosse il simbolo della campagna vaccinale in cella. Negli ultimi mesi abbiamo ribadito la richiesta, ma le istituzioni governative e carcerarie egiziane non muovono un dito. A darci ancora speranza resta la mobilitazione degli amici di Patrick, qui e in Italia, e la campagna social”.
Secondo un recente documento diffuso dal ministero dell’immigrazione, il regime di al-Sisi considera gli studenti egiziani all’estero come una delle più grandi minacce per la tenuta sociale dello Stato.
Tantissimi sono gli attivisti ancora dietro le sbarre: in carceri dove la vita, se così si può chiamare, è un vero inferno. Nei giorni scorsi i blogger Mohamed Ibrahim ‘Oxigen’ e Abdelrahman Tarek ‘Moka’, detenuti in attesa di processo e con il caso giudiziario rinnovato, hanno tentato il suicidio ingerendo farmaci. Dopo 40 giorni, il 4 agosto scorso Ahmed Samir Santawi, ha terminato un disperato sciopero della fame. Il suo caso è molto simile a quello di Patrick. Anche lui 30 anni, studente alla Ceu (Central european university), arrestato come Zaki, il 1° febbraio scorso al rientro in Egitto dall’estero. Lui però, a differenza di Patrick, ha subìto una condanna a 4 anni dopo un processo lampo.