Conclusi due anni di indagini sulla banda italo-albanese favorita da un poliziotto
Spaccio, estorsione, corruzione, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e altri reati assortiti. Ci sono voluti due anni di indagini serrate per far luce sugli intrecci di una banda che gestiva, nel capoluogo berico ma con ramificazioni in tutto il Nord Est, un ingente “giro” di cocaina. La squadra mobile di Vicenza ha chiuso il cerchio e smantellato definitivamente una fitta rete di spaccio che riforniva di polvere bianca la città. Sarebbe implicato, secondo le cronache del 2016, anche il loro ex collega della Questura, allora vice-questore, Michele Marchese. In virtù del suo ruolo di dirigente avrebbe favorito l’attività illecita facendo “carte false” per consentire l’ingresso in Italia di corrieri albanesi di stanza a Vicenza.
Sono ben 15 i componenti della organizzazione criminale che dovranno rispondere in giudizio delle loro responsabilità. I capi d’imputazione sono molteplici, per una filiera malavitosa che a monte prevedeva l’importazione ai fini di spaccio di cocaina, parallelamente all’ingresso (clandestino) nel territorio di trafficanti e spacciatori al dettaglio di nazionalità albanese, nomi caldi presenti nelle rubriche telefoniche dei consumatori abituali vicentini. La vicenda suscitò un clamore ben oltre i confini della provincia, per coinvolgimento di un funzionario della stessa squadra mobile che si trovava in aspettativa al momento della notifica di sospensione dai pubblici servizi.
La banda, al cui vertice si era posto un italiano – Lucio Cerciello, volto assai noto in ambito giudiziario – godeva della reputazione di “senza scrupoli” secondo le ricostruzioni delle forze dell’ordine in capo alla Questura berica: una gang di trafficanti dediti a intimidazioni e aggressioni violente verso i clienti ritardatari nei pagamenti della merce. Ingente il quantitativo di droga importato a Vicenza e provincia, con la complicità di Marchese da dimostrare in sede processuale – fu vice-questore fino al 2015 – che, in cambio di canali privilegiati di rifornimento di cocaina, avrebbe prodotto false attestazioni e alterato documenti necessari per la regolarizzazione degli stranieri. Oltre ad aver spinto per evitare la sospensione della patente al presunto capo della banda.
Dallo scorso maggio 2016 il dirigente è stato rimosso dall’incarico su richiesta della Procura e ordine del Tribunale, unitamente alll’arresto del vertice dell’organizzazione criminale, poi resosi protagonista di altri fatti di cronaca giudiziaria. Oggi la chiusura ufficiale delle indagini con un compendio di reati documentati poco invidiabile: dalla detenzione alla vendita di sostanze stupefacenti, estorsione, favoreggiamento aggravato, impiego di lavoratori stranieri clandestini, falso in titoli di soggiorno, corruzione, omissione di atti di ufficio, favoreggiamento, falso materiale e ideologico in atti pubblici.