Palermo, il sindaco Orlando indagato per falso nei bilanci comunali
Falso nei bilanci comunali. Questa l’accusa contestata al sindaco di Palermo Leoluca Orlando e ad altre 23 persone tra cui ex assessori, dirigenti e capi area comunali. Tutti hanno ricevuto un avviso di conclusione delle indagini: secondo la ricostruzione dei finanzieri del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo, gli indagati avrebbero commesso numerose irregolarità nei bilanci di quattro anni, dal 2016 al 2019.
L’accusa contestata dalla Procura di Palermo è “falso materiale commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico”. Le irregolarità riguardano diversi settori. Come spiegano i magistrati nel loro provvedimento “i pubblici ufficiali sottoscrivevano e inviavano all’ufficio Ragioneria generale delle schede di previsione di entrate sovrastimate (tenuto conto dei dati – a loro noti – degli effettivi accertamenti delle entrate nelle annualità precedenti) così inducendo in errore il consiglio comunale di Palermo sulla verità dell’atto, determinandolo ad adottare la deliberazione con la quale veniva approvato il bilancio di previsione”. Le indagini sono state condotte dai sostituti procuratori Andrea Fusco, Giulia Beux e dal procuratore aggiunto Sergio Demontis.
Appresa la notizia, la Lega è tornata a chiedere di votare la sfiducia. “Saranno i giudici a stabilire le eventuali responsabilità penali del sindaco e degli altri indagati e fino ad allora vale come per tutti la presunzione di innocenza – commentano il capogruppo del Carroccio in consiglio comunale a Palermo Igor Gelarda e la deputata consigliera Marianna Caronia – Ma è evidente che vi è un problema tutto politico nel momento in cui il Comune si avvia al dissesto finanziario ed è già da tempo in totale dissesto funzionale. Lo diciamo da tempo e torniamo a ribadirlo: è ora di votare la sfiducia”.
Non è la prima volta che Orlando viene coinvolto in vicende giudiziarie: tra il 1995 e il 2005 è stato indagato per alcuni provvedimenti amministrativi presi quando era primo cittadino. Prosciolto pienamente, è stato poi condannato, sempre nel 2005, per diffamazione aggravata ai danni dei consiglieri comunali di Sciacca, accusati di essere collusi con la mafia.