Picchiata fuori dal Garbin, il preside: “Lavoreremo sul branco e la comunicazione nonviolenta”
L’aria è quella delusa di chi sa quanto impegno mette ogni giorno chi opera nel mondo della scuola, a volte remando contro il resto della società, per contrastare la violenza di branco e il bullismo. Deluso ma non arreso, anzi. Alessandro Strazzulla, dirigente scolastico dell’Istituto Professionale Statale dell’Istituto Garbin di Schio, ha già in mente le direzioni su cui sviluppare l’impegno della scuola dopo quanto successo due giorni fa, con cinque studentesse di quinta che hanno aggredito una ragazza di seconda all’uscita di scuola, al pomeriggio, con tanti studenti che hanno incitato, ripreso con i telefonini e che solo alla fine hanno anche separato le contendenti.
Professor Strazzulla, davvero un brutto episodio quello avvenuto fuori dalla sua scuola due giorni fa.
“Molto brutto e grave, che per fortuna non ha comportato gravi conseguenze fisiche per la ragazza colpita. I fatti sono avvenuti davanti al Faber Box, e fuori dall’orario scolastico: per noi è difficile quindi fare indagini, che sono nelle mani dei carabinieri. Ora è importante tutelare chi ha subito la violenza e tentare di contenere la diffusione delle immagini, che portano ad altre discussioni. Tutte le ragazze coinvolte credo si sentano anche a disagio per essersi trovate al centro di un’arena che ora è sotto gli occhi di tutti. Ho incontrato la quindicenne con la sua famiglia e io stesso le ho consigliato di andare da un medico (la quindicenne ha avuto una prognosi di guarigione di 10 giorni, N.d.R.). Siamo in contatto con i carabinieri e la polizia locale, ma quello che noi possiamo fare, come sempre, è agire soprattutto sul piano educativo. Vogliamo tutelare tutte le persone coinvolte dalla sovraesposizione mediatica, che va evitata anche quando si tratta di minori con comportamenti scorretti. Mi preme anche dire, però, che qui siamo di fronte a gesta violente, più che a una situazione di bullismo: quest’ultimo è più un fenomeno dai risvolti psicologici, che provoca isolamento, è più subdolo e ha a che fare più con la preadolescenza”.
Che azioni pensate di mettere in campo adesso?
“Da un lato crediamo ci sia bisogno di lavorare per sviluppare nei ragazzi e nelle ragazze una comunicazione che anche se conflittuale non sfoci nella violenza verbale e fisica. E’ evidente che comportamenti del genere nascono dal fatto che tendenzialmente i ragazzi di oggi son portati a comunicare in modo aggressivo, incapaci di gestire la difesa le proprie posizioni in modo civile. Dobbiamo insegnare loro a gestire i conflitti che normalmente possono nascere nelle relazioni, aiutarli a riflettere sui loro comportamenti. E lo faremo al di là del singolo episodio. In secondo luogo cercheremo per l’ennesima volta di capire cosa è il branco. I video che girano sono scioccanti, soprattutto per il contorno, per la presenza del gruppo che riprende e, almeno all’inizio, non interviene. Dovremo intensificare il lavoro sull’uso e l’abuso dei canali social, dei video e dei comportamenti messi in atto col solo scopo di essere ripresi e postati, con la conseguenza che poi le immagini sfuggono al controllo di chi le ha fatte”.
Quanto accaduto chiama in causa anche i genitori.
“Guardi, purtroppo sempre più spesso le famiglie non hanno strumenti adeguati per affrontare l’adolescenza di oggi e a volte mancano anche di consapevolezza sul loro stesso modo di usare i social. Inoltre possono esserci situazioni difficili, separazioni e altro forme di fragilità che i ragazzi elaborano in termini negativi o con comportamenti disfunzionali: in classe gli insegnanti se ne accorgiamo quotidianamente. Nel caso in questione, quello che lascia senza parole e che richiede un nostro intervento in quanto educatori è il fatto che chi guardava, o peggio riprendeva, non è intervenuto subito a bloccare quanto stava accadendo. E’ qui che emerge il senso del branco, che assiste e partecipa a quello che sembra vivere come uno spettacolo primordiale. L’importante è che ora l’episodio finisca lì, che non comporti strascichi fra le ragazze coinvolte. Da parte nostra faremo il possibile affinché la vittima non venga esposta, e le abbiamo chiesto di prestare attenzione a questo fatto”.
Cosa fa la scuola per evitare situazioni simili?
“Ci lavoriamo da sempre. L’ultima formazione che come docenti abbiamo fatto lo scorso anno scolastico, ad esempio, è stata con una psicologa dello sviluppo dell’Università di Padova, Silvia Salcuni, con cui abbiamo approfondito gli atteggiamenti e le problematiche legate alla pandemia. Come scuola cerchiamo di andare oltre le questioni che riguardano la didattica”.
Quale è l’aspetto che la scoraggia maggiormente?
“Il fatto che questi episodi mettono in cattiva luce ragazzi e ragazze che invece il più delle volte ci meravigliano e ci danno soddisfazioni, sia nello studio che nei progetti che proponiamo loro. Il 15 ottobre, ad esempio, abbiamo tenuto la Festa dell’Europa che solitamente si celebra il 9 maggio ma che a causa dell’emergenza Covid-19 era stata posticipata. È stato il momento finale di un percorso che ha coinvolto gli studenti e studentesse che lo scorso anno, insieme ad alcuni insegnanti, hanno approfondito la storia delle istituzioni europee e il loro funzionamento, alla presenza del Provveditore agli studi, di un’europarlamentare e di rappresentati di istituzioni e associazioni locali. Se posso fare un altro esempio, in una classe abbiamo accolto un rifugiato fuggito col padre dall’Afghanistan nei mesi scorsi: i ragazzi son stati straordinari, facendo a gara per parlare con lui in inglese al fine di farlo sentire accolto”.