Guerra in Ucraina, nuovi negoziati. Mosca: “Riduzione delle attività militari”
È giunto al termine nel primo pomeriggio il nuovo round di colloqui a Istanbul tra le due delegazioni russa e ucraina. Al trentaquattresimo giorno di guerra, Mosca ha dato qualche segnale di apertura rispetto alla possibilità di un trattato di pace a fronte delle proposte scritte ricevute dal governo di Kiev, sulla base delle quali l’Ucraina si impegna a garantire la sua neutralità, oltre che la denuclearizzazione. “Oggi è stato raggiunto il più significativo progresso nei negoziati”, ha commentato il ministro degli Esteri della Turchia Cavusoglu, a casa del quale i colloqui hanno avuto luogo. I rappresentanti della delegazione ucraina hanno precisato che non entreranno nella Organizzazione del trattato atlantico ma che restano fermamente convinti di voler entrare nell’Unione europea. “I Paesi garanti dovranno fornirci forze armate, armi e cieli chiusi”, sono state le richieste avanzate da un negoziatore ucraino. Quanto invece allo status relativo alla Crimea e al Donbass, fonti al tavolo dei colloqui hanno fatto sapere che saranno oggetto di trattative ad hoc. In particolare, la delegazione ucraina propone negoziati separati sulla Crimea e sul porto di Sebastopoli.
Sotto il profilo militare, la Russia ha fatto sapere che sta iniziando a ritirare le sue forze armate dalle vicinanze di Kiev e Chernihiv. A darne notizia sarebbero stati due funzionari degli Stati Uniti che in questa mossa del Cremlino un importante cambio di strategia. Stando alle convinzioni diffuse tra i funzionari Usa, gli ultimi movimenti osservati non sono un aggiustamento di breve termine, ma una mossa di lungo termine. Il vicesegretario del Tesoro americano Wally Adeyemo ha fatto sapere che gli Usa e i loro partner occidentali stanno valutando nuove misure contro i settori che riforniscono con armamenti le forze armate della Russia, con l’obiettivo di “bloccare la macchina da guerra” di Mosca. “I principali obiettivi della prima fase di questa operazione sono stati raggiunti – ha detto il ministro della difesa russo Sergei Shoigu in una teleconferenza -. Il potenziale di combattimento delle forze armate ucraine è stato notevolmente ridotto, il che ci permette di concentrare l’attenzione e i nostri sforzi principali sul raggiungimento dell’obiettivo primario, cioè la liberazione del Donbass”.
Intanto, il Consiglio Atlantico è stato convocato a Bruxelles per il 6 e 7 aprile per discutere degli sviluppi del conflitto in Ucraina, cominciato lo scorso 24 febbraio. Al vertice è in programma la partecipazione in presenza dei 30 ministri degli Esteri dei Paesi che fanno parte della Nato. L’incontro sarà presieduto, come di consueto, dal segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg, il cui mandato è stato rinnovato fino al 30 settembre dell’anno prossimo. Nel pomeriggio, dopo i negoziati tra Mosca e Kiev, il presidente Biden ha avuto un colloquio con gli alleati europei, organizzato per discutere degli ultimi sviluppi sull’offensiva russa, anche alla luce degli esiti dei negoziati. Presenti alla videoconferenza il presidente francese Macron, il cancelliere tedesco Scholz, il presidente del Consiglio Draghi e il primo ministro Johnson.
E proprio il premier Draghi nelle ultime ore ha firmato il Dpcm sulla protezione temporanea e l’assistenza per i civili in fuga dalla guerra e in arrivo in Italia. Il decreto recepisce la decisione del Consiglio europeo e fissa a partire dal 4 marzo 2022 la decorrenza della protezione temporanea dei profughi ucraini, con durata di un anno. Nel frattempo, Polonia e Repubblica Ceca hanno fatto sapere che non manderanno i loro rappresentanti alla riunione ministeriale del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) convocato a Budapest, per protesta contro la posizione assunta dal governo ungherese di Orban sulla Russia, l’Ucraina e i legami con il Cremlino. “Sono addolorata dal fatto che ora i politici ungheresi ritengano più importante il petrolio russo a buon mercato rispetto al sangue ucraino”, ha commentato per esempio la ministra della Difesa ceca, Jana Cernochova.