Nuova sfida in vista per Giuseppe Faresin, il sandricense pronto a sfidare l’Alaska artica
Un uomo tutto d’un pezzo con carattere, grinta e determinazione da vendere. Giuseppe Faresin è pronto ad una nuova impresa, questa volta l’obiettivo è la temibile Alaska artica. Il 69enne di Sandrigo si sta allenando da settimane per affrontare la sua dodicesima fatica a colpi di pagaia. L’ultima spedizione, risalente a tre anni fa, ha visto Faresin sfidare i fiumi Yukon e Teslin, nel Canada nord occidentale per un totale di 960 chilometri percorsi con il suo “compagno più fidato”: il kayak. Una lunga serie di avventure che dal 1977 lo hanno portato in ogni angolo del mondo per sfidare i fiumi più grandi del pianeta. Il 5 luglio, data di partenza della nuova spedizione, vedrà il vicentino impegnato sul Noatak River, uno dei corsi d’acqua più selvaggi e più lunghi dello stato americano che scorre per 684 chilometri, interamente sopra il circolo polare e all’interno di un’immensa riserva protetta.
Partenza prevista da Venezia dove Faresin raggiungerà in aereo prima la città di Anchorage, poi l’avamposto di Kotzebue da dove decollerà a bordo di un Cessna per atterrare sui ghiaioni in cui prende forma il Noatak. Il punto di partenza di una nuova incredibile avventura. Tre settimane in solitaria e in piena autonomia, sul kayak il sandricense porterà 150 chilogrammi di materiale. “Come sempre -dichiara Faresin- la logistica è la parte più importante perché devo essere sicuro al cento per cento che tutto funzionerà come previsto”.
“Sarà una bella palestra di vita “into the wild” -prosegue il vicentino-. Non sono ammesse distrazioni o errori perché, in solitaria, possono costare caro. Negli anni ho imparato a non fidarmi neanche di me stesso. O meglio, a mettermi sempre in discussione. Spesso un imprevisto arriva nel momento in cui si abbassa la guardia per un’eccessiva sicurezza. In questi contesti si mettono a dura prova la mente e il fisico. Chiaro, gli acciacchi non mancano e di certo l’età non aiuta, ma fortunatamente ci sono gli antinfiammatori a dare una mano. In più, voglio dare del filo da torcere alla vecchiaia. Questa, inoltre, sarà anche una grande occasione e opportunità per toccare con mano gli effetti del cambiamento climatico in una delle regioni più selvagge e incontaminate del mondo”.
L’idea di viaggiare in gruppo non piace a Faresin, o meglio, si sente più a suo agio affrontare le asperità dovendo “lottare da solo”, in questo modo ha la possibilità di misurarsi con l’ambiente che lo circonda senza preoccuparsi delle condizioni altrui. “Come dico sempre, se si è in due è quasi una vacanza. Da soli, invece, è un’avventura. Con tutti i rischi annessi e connessi. Percorrendo il Noatak non troverò nessun insediamento abitativo, se non un piccolo villaggio di nativi a circa 80 chilometri dalla foce”.
“Una piccola distrazione può avere effetti disastrosi. Massi e tronchi seminascosti diventano improvvisamente trappole micidiali. Un incravattamento o la rottura del kayak sono da evitare in assoluto. Anche nei momenti di pausa si deve sempre stare in campana, controllare e leggere il fiume per capire dove andare e, a volte, come sbrogliare un labirinto di canali e corsi d’acqua che magari non portano da nessuna parte. In Alaska l’estate, chiamiamola così, è molto fresca e piovosa: massime di 17 o 18 gradi con il sole e di notte le temperature scendono anche sottozero. La pioggia e il vento a sfavore saranno i problemi maggiori, oltre agli orsi e i lupi. Infatti porterò con me anche due grosse bombolette di spray e una tromba da stadio per tenerli a debita distanza.
“Da sei mesi studio, ricerco, preparo, testo prodotti, materiali, soprattutto per la sicurezza che ha la priorità assoluta. Il salvagente sempre indossato, un sistema satellitare di soccorso di tipo Spot e un telefono satellitare, che oltre a permettermi di comunicare con la mia famiglia, ha anch’esso un pulsante di Sos da settare e testare prima. Tanto cibo, circa 30 chili, perché, come dico sempre, “il corpo non deve soffrire altrimenti l’anima ne risente”. Perciò saranno quattro i pasti al giorno. Porterò pasta, risotti, minestroni, tonno, biscotti, caffè, latte, salame, pane e altro ancora. Il tutto conservato dentro a un fusto rigido anti-orso e da tenere lontano dall’accampamento.
Nella lista delle cose che viaggiano con il temerario sandricense non possono mancare telecamera, macchina fotografica, drone e GoPro con quattro power bank, per una riserva totale di 150 mila mA, oltre a un pannello fotovoltaico per la ricarica. Poi vestiario caldo e tutto il materiale da campeggio come tenda, sacco a pelo, fornellino, combustibile e il depuratore per l’acqua. La spedizione, come tutte quelle già affrontate da Faresin, sono interamente autofinanziate e per ogni chilometro percorso un euro verrà donato ai medici di Africa Cuamm. In questa avventura sarà testimonial di Survival, associazione che collabora e tutela i popoli indigeni in America, Africa, Asia e Oceania per proteggere i loro diritti territoriali e denunciare le atrocità commesse da governi e grandi aziende. Dopo il Mississippi, il Golfo del Messico, lo Yukon e il Rio delle Amazzoni, una nuova meta sta per essere conquistata dall’impavido vicentino.
Alla domanda perché faccia tutto questo Giuseppe Faresin risponde: “Perché no?”. “L’apprensione e la tensione, conclude il 69enne, sono sempre come la prima volta. La soddisfazione, anche. Non è un kayak che ti cambia la vita, ma quello che fai per raggiungere nuovi traguardi. Questo è lo spirito con cui partirò. Anche questa volta”.