Tragedia all’Altar Knotto, oggi il funerale di Mazzetto. La testimonianza: “Il tonfo, poi le urla di Sara”
Questa mattina alle 9, nella Chiesa Parrocchiale di Borsea, a Rovigo, si sono tenuti i funerali di Andrea Mazzetto, l’imprenditore trentenne precipitato sabato dall’Altar Knotto sotto gli occhi della fidanzata Sara Bragante, di 27 anni, anche lei rodigina. Era presente anche il sindaco di Rotzo Lucio Spagnolo e il comandante dei carabinieri di Canove, che ha riconsegnato alla famiglia lo smartphone di Mazzetto, l’oggetto il cui recupero ne ha provocato la caduta dal precipizio.
Per ritrovarlo erano tornati sul posto domenica gli operatori del Soccorso alpino di Asiago. All’interno, avrebbero appurato i carabinieri e la Procura, nessun indizio di responsabilità di terzi, tanto che è stato dato il nulla osta alla sepoltura. La fidanzata avrebbe raccontato al magistrato di essersi offerta per scendere al posto di Andrea a prendere il telefono, ma il fidanzato stava già andando a raccoglierlo.
Intanto emergono altre testimonianze di quanto accaduto. Damiano Bordignon, trevigiano e consulente di comunicazione, lo ha raccontato in un lungo post su Facebook: sabato al momento della disgrazia si trovava insieme a un amico a poche decine di metri dalla coppia ed è stato il primo a giungere sul posto, insieme con un amico. Il post racconta quanto accaduto e i sentimenti collegati.
«Non conoscevamo nulla di voi e della vostra vita di prima – scrive Bordignon – ma il fato ha voluto che sabato, alle 13:24, a pochi minuti dall’Altar Knotto, Enrico e io sentissimo il grave e definitivo momento in cui il tuo corpo, sbattendo sulla roccia sottostante, lasciava andare il tuo fiato vitale. E parimenti, siamo stati chiamati a fare nostre le grida strazianti e disumane di Sara, che aveva assistito impotente alla tua caduta, e che consegnavano alla valle le urla amplificate dall’eco che non eravamo pronti a sentire: “Aiuto, Andrea è caduto”.
Il fiato tuo che se n’era andato, il fiato di lei lacerato, il fiato nostro, spaventato e corto, mentre chiamavamo i soccorsi, cercavamo di raggiungerla, e urlavo “Chi ha urlato? Dove sei?”.
Non conoscevamo nulla di voi e della vostra vita di prima, ma abbiamo conosciuto il fiato rotto mentre lei ci raccontava, tremante e in lacrime cos’era successo, mentre sia io che lei eravamo al telefono con la sua famiglia, i pompieri, il soccorso alpino, l’ospedale. Il tuo fiato se n’era già andato, Sara continuava a dirlo, mentre io, da lassù, ti urlavo di non mollare, perché i soccorsi stavano arrivando.
E poi, dopo una manciata di minuti, è stato il fiato concitato del soccorso alpino, quello dei pompieri e, infine, quello gelido, assordante e impetuoso dell’elicottero, che quando si avvicinava ci obbligava a stringerci tutti assieme, per proteggerci, per ripararci, mentre anche i nostri fiati si mescolavano a quello singhiozzante di Sara.
Non conoscevamo nulla di voi e della vostra vita di prima, ma abbiamo conosciuto il dopo, quando il tuo fiato – ma ancora non lo sapevamo – se n’era già andato, portando via con te anche una parte del fiato di Sara, di chi ti ha voluto bene e di chi, come noi, era lì in quel momento e, pur non sapendo nulla di te, sperava in un improbabile miracolo.
Al di là delle elucubrazioni e delle lapidarie sentenze di chi ha inutilmente e con leggerezza scritto, questo è stato sabato: il sacro e tragico momento che ha segnato la fine della tua esistenza, lo strazio di chi ti amava, la sofferenza di noi, altri esseri umani, lì presenti. Il resto, non importa. “Siamo fatti di fiato”, mi hanno ricordato tempo fa, fragili, precari, tenuti qui “con niente”.
E quando qualcuno di noi se ne va, se pur in modo assurdo, quello che possiamo fare è ri-prendere consapevolezza della nostra umanità e stringerci attorno a chi – sgomento e lacerato – resta, per dargli una carezza, un abbraccio, un po’ di fiato, perché quello che aveva non lo ha più.
Riposa in pace, Andrea. E, se puoi, riporta un po’ di fiato a chi ti ha amato».