Spettacolando – Nannini superstar e il pubblico non trattiene l’entusiasmo
In una Piazza dei Signori gremita come dovrebbe essere più spesso, Gianna Nannini lo scroso 24 settembre ha portato energia e vita.
E’ stata considerata icona pop negli anni ’80, quando la sua voce era sovrastata dai mostri sacri degli anni ’70. Ora è chiaro che la sua anima è rock allo stato puro, come il suo sguardo e la sua presenza sul palco.
Gianna inizia il concerto vicentino con qualche pezzo meno noto per poi liberare i suoi cavalli di battaglia. Da Fotoromanza, che parla di sensazioni che possono riconoscere solo gli over quaranta, a Ragazzo dell’Europa, che racconta di un mondo di sogni oramai frantumati. Come l’utopia disgregata che alberga in Scandalo, America e Latin Lover.
Nannini canta parole che ci sembrano a tratti lontane, perché intorno a noi vediamo solo pezzi di vetro luccicanti nei quali specchiarci, all’ombra di un mondo che non c’è più.
Gianna però è piena di vita, lo è sempre stata, e ci ritroviamo in piedi a ballare senza freni, con la security costretta agli straordinari per contenere il flusso selvaggio verso il palco.
Canzoni come Bello e impossibile, Hey Bionda, e soprattutto Profumo, parlavano di corpi, sudore, desideri rinchiusi in una stanza; e mentre noi maschi inconsapevoli giocavamo agli egocentrici, le nostre mamme le cantavano in macchina a squarciagola, a nostra insaputa. E ora sono lì a ballare.
Una carezza e uno scossone, una serata di quelle che ti porti addosso e si concludono con una birra al bar, prima di andare a dormire. Ma Gianna fa solo finta di andarsene, e torna sul palco con le note di Notti Magiche: partono brividi lungo la schiena, incontrollabili, con le labbra che si muovono prima che lei inizi a cantare. Forse non sarà una canzone, a cambiare le regole del gioco e subito scende qualche lacrima per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
Quel mondiale del ‘90 giocato in casa, avremmo dovuto vincerlo, è stato un qualcosa che ci hanno tolto e che pensavamo ci spettasse di diritto. Così quella canzone abbiamo quasi finito per odiarla e non siamo più riusciti ad ascoltarla fino al 2006, quando l’Italia intera l’ha urlata a squarciagola ricucendo un pezzo di vita lungo sedici anni, e sì, riconoscendo a Nannini e Bennato di aver scritto la più bella colonna sonora dei Mondiali di calcio di sempre.
Ma quando inseguiamo un gol – sotto il cielo di un’estata italiana – e pensiamo a quel sogno che comincia da bambino – all’avventura che vogliamo vivere senza frontiere – con il cuore in gola, stiamo dicendo altro. Una palla che rotola su un campo d’erba, evidentemente, non è che una meravigliosa metafora per desiderare di sentirsi campioni del mondo almeno una volta nella vita, gridandolo a tutti con fierezza, fino a rimanere senza voce.
Del resto lo cantava anche il duca bianco: we can be heroes, just for one day.
Paolo Tedeschi