Fatture “gonfiate” nel 2011, arriva il sequestro dei beni per 100 mila euro nel 2023
Per chi pensa che eventuali “marachelle” in ambito fiscale possano venire dimenticate con il trascorrere degli anni arriva un chiaro avvertimento dalla Guardia di Finanza vicentina, che di recente ha “messo le mani” sulla somma di 102 mila euro in seguito all’emergere di una serie di fatturazioni per spese considerate fittizi, risalenti addirittura all’anno 2011. In altre parole una frode fiscale, portata avanti attraverso l’utilizzo delle cosiddette società cartiere al solo scopo di “risparmiare” sulle imposte.
Si tratta di un’indagine legata ai controlli operati nei confronti di una ditta di commercio all’ingrosso di elettrodomestici con sede a Montecchio Maggiore, con procedura di fallimento in atto e un debito verso le casse pubbliche che supera dunque i centomila euro, “congelati” dai conti correnti mediante la formula del sequestro per equivalente.
L’indagine che fa capo alla Procura di Verona ha portato al decreto di sequestro preventivo disposto dal Gip, finalizzato alla confisca di beni e disponibilità finanziarie a carico di una società di Montecchio (attualmente in liquidazione) che operava nel settore del commercio all’ingrosso di elettrodomestici ed elettronica. Il provvedimento cautelare, che ha permesso di sottoporre a sequestro somme di denaro giacenti su uno dei conti correnti societari, trae origine da un intervento di polizia economico-finanziaria condotto dalle Fiamme Gialle di Arzignano che si era concluso con la denuncia del titolare e del prestanome della società per aver indicato, nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2012, costi fittizi per circa 590 mila euro mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, al solo scopo di evadere l’imposta sul valore aggiunto.
In questi casi si parla nell’ambiente di Guardia di Finanza di “frode carosello”, un complesso meccanismo con un flipper di documentazione commerciale orchestrato per rendere laboriosi e sviare eventuali controlli sull’Iva, mediante la reiterata emissione di fatture per operazioni inesistenti. In particolare, si era avvalsa di fatture inesistenti emesse da una “società filtro” (o “buffer”) di Vicenza, e inattiva dal 2011, rappresentata dalla compagna dell’amministratore di fatto dell’azienda. Un “affare di famiglia” alla luce dei fatti documentati da considerare illecito.
Il risparmio sui contributi e imposte permetteva in un ultima analisi alla ditta di porsi sul mercato a prezzi più concorrenziali, turbandone la regolarità e sottraendo risorse dovute allo Stato, con danno al libero mercato. Tutto questo attraversi un regime di “contabilità creativa” autoimposto che i finanzieri sono riusciti a svelare, ricostruendone i passaggi fino a offrire un quadro probatorio ritenuto solido dall’autorità giudiziaria.