“Sono cieco, ma vedo con altri occhi”: così Salvagnin ha “conquistato” l’Islanda
Da Akureyri a Skogar, oltre 430 chilometri dei quali la gran parte effettuati attraversando la desolazione di un paesaggio brullo e privo di arbusti al punto da sembrare quasi lunare.
E’ questa l’ennesima ultima avventura che Simone Salvagnin, 39enne di Schio, si è scelto abbracciando la buona causa di una raccolta fondi a sostegno dell’associazione no-profit Emozionabile, impegnata nel promuovere attività ed esperienze per le persone con disabilità. Una missione sentita per Simone a cui, all’età di 13 anni, hanno diagnosticato una malattia degenerativa della retina che lo ha portato alla quasi totale cecità.
E se da quel preciso momento molti, comprensibilmente presi da scoramento si sarebbero lasciati andare, è proprio allora che al contrario in lui è scattato qualcosa, imparando a convivere col limite e a scoprire nuovi punti di forza su cui investire: atleta della nazionale italiana di arrampicata sportiva, medaglia d’oro e di bronzo (Speed, Lead) ai mondiali di arrampicata sportiva di Arco 2011, categoria paraclimbing non vedente B2, medaglia di bronzo anche ai mondiali di Parigi 2012 e vincitore degli ultimi 5 campionati Italiani di arrampicata sportiva B2 Lead e Speed solo per citare alcuni dei traguardi già quasi un miraggio per una personale “normale”.
E di normale c’è davvero poco nella vita di Salvagnin tra viaggi avventurosi e la sfida continua a non arrendersi mai, osando non tanto per l’adrenalina del rischio, ma perchè la vita è più bella se è vissuta a piene mani, scoprendosi più forti e più ricchi di prima così come è accaduto nell’esperienza islandese condotta assieme a Daniele Matterazzo, affetto invece da disabilità motoria: “Abbiamo camminato per molti chilometri ogni giorno, in totale autonomia e senza mezzi al seguito, tra venti sferzanti e temperature tutt’altro che confortevoli. 30 chili sulle spalle – racconta Salvagnin – sono davvero tanta roba, il peso sembra farsi sempre più insopportabile e le spalle vorrebbero cedere, ma tu non lo fai. Tutto in quei momenti sembra così ostile che anzichè concentrarsi sulla fatica e sul dolore, focalizzi su te stesso ed instauri un dialogo con la tua parte più intima, quella che la paura no, non sa nemmeno cosa sia”.
Eppure stavolta a complicare maledettamente un’impresa già titanica – il primo ipovedente ad aver compiuto la traversata della terra del ghiaccio e del fuoco – ci si è messa pure la variabile del “coinvolgimento sentimentale”: “In Islanda mi ha seguito anche Lucia, la mia compagna – spiega ancora l’atleta scledense – che pur avendo una discreta preparazione sportiva, doveva comunque affrontate un’esperienza molto più dura. E’ stata una cosa particolarmente formativa ed intensa per entrambi: molti pensano che io da non vedente, mi devo far guidare e sono quindi al traino di qualcuno. Niente di più sbagliato: ognuno di noi in quel momento ha una precisa responsabilità ed un compito, partecipa alla pianificazione, interagisce nelle difficoltà e dà il suo contributo che diventa, quota parte, determinante. E stavolta, ho avvertito ancora più responsabilità proprio perchè avevo con me una persona che sentivo di dover proteggere in modo particolare”.
Camminare, camminare come metafora di vita: nelle parole del racconto, al rientro in Italia, tutta l’emozione e già il desiderio di una nuova meta. Un racconto a colori, pieno di dettagli e di piccoli particolari fissati con scrupolo ed attenzione. Una fotografia bellissima, di un’anima che vede oltre lo sguardo e oltre quell’orizzonte che la mente fissa ma il cuore sa superare.