In gruppo da Sarcedo a Trieste per sfamare i ragazzi della rotta balcanica
C’è chi procura vestiario, chi il cibo in grandi quantità, chi si da da fare in cucina, chi porta la legna e recupera l’abbigliamento pesante, chi organizza la trasferta, chi va fisicamente a Trieste a portare e distribure il cibo nei giardini di piazza della Libertà, a pochi passi dalla stazione ferroviaria, dal vecchio porto e dal famigerato “silos”, il grande edificio (di proprietà privata) abbandonato e che sorge a fianco della stazione ferroviaria dove dormono sotto tende di fortuna e in mezzo ai topi e alla sporcizia (e se piove, all’acqua) i migranti della rotta balcanica in arrivo dalla Slovenia: a volte sono poco più di cinquanta, più spesso duecento e oltre.
Ad organizzare questa forma di volontariato che dall’Alto Vicentino raggiunge Triste sono una settantina di persone, buona parte di Sarcedo ma alcune anche dei Comuni limitrofi, già attive nelle loro parrocchie a fianco di chiunque abbia bisogno e che non si sono voltate dall’altra parte di fronte alle necessità di altri esseri umani: uomini giovani e giovanissimi, a volte ragazzini, che partono soprattutto dall’Asia (Afghanistan, Pakistan, Bangladesh, India in particolare) per cercare un futuro migliore in Europa. Un viaggio lungo, che dura anni, pericoloso e incerto, lungo la cosiddetta “rotta balcanica“: via Iran, Turchia, Grecia, Bulgaria, Macedonia, Bosnia, Serbia, Croazia, Slovenia, tanti rivoli e strade diverse per raggiungere l’Europa.
Il tentativo di entrare in Europa lo chiamano “the game“, è tentare la fortuna allo stremo, sperando di non essere ricacciati indietro (cosa che avviene il più delle volte) in particolare dalle feroci polizie croate e serbe, come viene ben raccontato nel film “Trieste è bella di notte“: per ricacciarli indietro usano i cani, le percosse, le violenze. Oppure (notizia di ieri), li spogliano di tutto e con temperature sotto zero li rispediscono indietro (dalla Serbia alla Macedonia) in mutande.
Il gruppo di Sarcedo, di cui fa parte anche l’amministratore parrocchiale dell’Unità Pastorale, fra’ Fabio Miglioranza, va a Trieste a prestare servizio una volta al mese. E una delle ultime volte siamo andati con loro. Come questo gruppo, nell’Alto Vicentino vi sono anche altre realtà attive nei Balcani, anche direttamente in Bulgaria come fa il Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino o andando a Trieste singolarmente per dare una mano.
Si parte da Sarcedo alle due e mezza, un furgone (carico di vettovaglie, legna, pentole e quanto serve per garantire il servizio) e due auto. Sul posto ci sia coordina – come altri gruppi del Nord Italia – con l’associazione Linea D’Ombra, messa in piedi da Lorena Fornasier e del marito Gianandrea Franchi: psicologa lei, professore in pensione lui, dal 2018 ogni sera alle 18, sette giorni su sette, arrivano ai giardini di Piazza della Libertà e si mettono a disposizione dei ragazzi, che arrivano all’appuntamento alla spicciolata dal “silos”, per farsi medicare le ferite ai piedi e mangiare qualcosa, grazie al volontariato. “Non è solo un gesto umanitario, il nostro – spiega Franchi – ma una denuncia politica”. L’accoglienza di Trieste infatti è a metà: da un lato il sindaco Di Piazza che si disinteressa, così come la Regione, dall’altra alcuni gruppi di volontariato e il nuovo Vescovo, Trevisi, si stanno dando da fare per l’accoglienza. La chiesa triestina ha aperto recentemente una struttura con 30 posti letto appena arrivato. In città, poi, è molto attivo l’Ics, il Consorzio Italiano di Soliderietà che gestisce 160 appartamenti per l’accoglienza diffusa e una centro diurno dove i ragazzi del silos vanno per stare al caldo e ricaricare i cellulari. Sono migranti che hanno diritto all’accoglienza, che però non viene loro data.
Giunto a Trieste, il gruppo di Sarcedo conosce don Domenico Bedin, anche lui qui con un paio di volontari due tre giorni per dare una mano. Don Domenico è vicentino di origine, anche se da moltissimi anni vive a Ferrara dove gestisce “Viale K”, realtà che si occupa di povertà estreme attraverso interventi di accoglienza e di tutela a favore delle persone che versano in gravi difficoltà socio-economiche e a rischio di emarginazione sociale (dieci sedi, 190 volontari). “Mia mamma vive ancora a Perarolo” racconta don Bedin mentre aiuta a preprare del minestrone dopo averci portato a visitare l’interno del silos.
“Perché lo facciamo? Semplicemente perché hanno bisogno, per ridare loro dignità” spiegano Almerita, Franco, Angelina, Maria Teresa, Giuliano e gli altri volontari sarcedensi mentre si preparano a distribuire il cibo caldo a Mohamed, Khan e a tutti gli altri che sperano di trovare accoglienza da qualche parte e che coltivano ancora la speranza, dopo anni in giro per il mondo, di poter un giorno sistemarsi e far arrivare qui la loro famiglia.
Oggi intanto ci son quattro nuovi arrivi: uno è un bambino di dieci anni.
Cosa sia il silos e come Trieste sia crocevia di questa umanità sofferente ma anche solidale, lo ha raccontato bene Pif nella sua rubrica su Rai3 “Caro Marziano) la scorsa settimana (puntata uno – puntata due – puntata tre): tre racconti che val la pena davvero di vedere.