Spettacolando – “Scarpette rosse” danzano sul palco del Teatro Comunale di Vicenza
In prima regionale, giovedì 29 febbraio nella Sala Maggiore al Teatro Comunale di Vicenza, è andato in scena “The Red Shoes”, la nuova creazione del coreografo Philippe Kratz per il Nuovo Balletto di Toscana.
Lo spettacolo è ispirato a “Scarpette Rosse”, la fiaba del 1845 di Hans Christian Andersen, un racconto dai contorni moralizzanti sul tema del desiderio, crudo nel suo finale dove l’espiazione delle colpe consumistiche si ramuta in una vera e propria mutilazione. Il dialogo artistico si fonde poi con l’omonimo film, che ambientava la vicenda tra le luci e le ombre del mondo del balletto.
La seduzione è la luce che ci avvolge da decenni, in un turbinio crescente. Gli argini sono rotti e non esiste più una strada maestra, sempre che sia mai esistita. Non ci sono più età, né generi o schemi da seguire.
“Tutto ha a che fare con il sesso tranne il sesso, che ha a che fare con il potere”, diceva Frank Underwood in House of Cards. Il rapporto con oggetti e persone non trova più confini, amplificato dal caleidoscopio attraverso il quale guardiamo la vita che ci circonda, spesso senza assaporarla.
In una continua ridefinizione di ciò che è reale, sempre più in difficoltà nel definire persino cosa sia vivo, naturare o umano, lo spettacolo è una danza frenetica schiacciata da una musica che non è accompagnamento, ma l’anima stessa dei passi sul palco.
Inseguiamo ciò che non abbiamo coma le fanciulla nella fiaba, ma le scarpette rosse non sono più una metafora, perché è la nostra stessa anima che mettiamo in gioco ogni giorno alla sfrenata ricerca di piacere agli altri, come unica strada per accettare noi stessi.
L’inquietudine della musica elettronica si mescola fino a fondersi coi passi di danza: la protesi di una gamba raccolta dalla giovane Karen, con una scarpetta rossa calzata da un piede, rappresenta il distacco con cui ci confrontiamo. Siamo atomi frenetici che non trovano pace, che con un click scelgono di accendere, spegnere o modificare l’immagine che l’algoritmo del caleidoscopio ha scelto di mostrarci.
Paolo Tedeschi