Omicidio Regeni: uno degli 007 egiziani a processo, era presente durante le indagini
Nuova udienza a Roma nell’ambito del processo sull’omicidio di Giulio Regeni. Davanti alla Prima Corte d’Assise si sono susseguite le testimonianze degli investigatori dello Sco e del Ros. Secondo i loro racconti uno degli 007 egiziani, tra gli imputati nel processo per il sequestro e l’omicidio del ricercatore italiano, era presente al sopralluogo del 10 febbraio 2016 che fu condotto dai team investigativi congiunti di Italia ed Egitto, lungo la strada dove fu ritrovato il corpo di Giulio. Durante l’udienza sono anche state mostrate delle foto che immortalano l’ufficiale egiziano sul luogo del ritrovamento.
Sempre secondo i testimoni Uhsam Helmi, partecipò anche a quasi tutti gli incontri dei team investigativi italiani e egiziani quando erano in corso le indagini sul caso Regeni: “‘Quello con gli occhiali da sole è il colonnello Helmi, era presente molto spesso”, ha confermato in aula il colonnello del Ros dei carabinieri Loreto Biscardi.
Insime ad a Uhsam Helmi sono sotto accusa anche il generale Sabir Tariq, i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Per tutti le accuse sono di sequestro di persona pluriaggravato, ma nei confronti di quest’ultimo i pm contestano anche il concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato.
In aula su sollecitazione del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco il direttore del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato Vincenzo Nicolì, ha ripercorso l’avvio delle indagini: ”Venivamo da un’esperienza positiva di scambi con la polizia egiziana, eravamo riusciti a interrompere qualche anno prima un traffico di migranti e le aspettative in partenza erano quelle di chiarire la vicenda”. Nicolì ha quindi sottolineato come “da un’iniziale apparente collaborazione” da parte degli egiziani, si è passati ad atteggiamenti sempre più rigidi: “all’inizio ci fu una apparente collaborazione, ci consentirono di assistere alle assunzioni di testimonianze ma noi – ha spiegato – cercavamo riscontri oggettivi. Fin da subito le autorità egiziane furono informate che ciò che era emerso dall’autopsia svolta in Italia non era compatibile con le loro ipotesi investigative come l’incidente stradale”.
Quindi le ipotesi più disparate sulle cause della morte di Giulio. Sempre secondo Nicolì: ”a mano a mano che si andava avanti ci furono prospettate altre ipotesi come il coinvolgimento di Giulio Regeni in un traffico di opere d’arte rubate, altre che riguardavano la sua sfera sessuale, poi quella di uno scontro fisico con una persona davanti all’ambasciata”. “Tutte queste ipotesi investigative della polizia egiziana – ha spiegato il direttore23 – non erano però assolutamente riscontrate. Proprio quando il 24 marzo 2016 decidiamo di far rientrare il team investigativo, con i nostri uomini che erano in aeroporto, ho sentito la notizia che gli egiziani sostenevano di aver trovato gli assassini di Giulio Regeni e allora li ho chiamati per dirgli di non partire e di rimanere lì”.
In aula le foto dei presunti assassini di Giulio. Durante la testimonianza del funzionario dello Sco Alessandro Gallo, sono state mostrate in aula anche le foto che erano state scattate ai corpi dei cinque uomini che secondo la versione della polizia egiziana erano i responsabili della morte di Regeni e uccisi a loro dire durante un conflitto a fuoco. ”Emerge un’incompatibilità tra le immagini del pulmino e dei corpi con la ricostruzione di un conflitto a fuoco”, è stato spiegato dall’investigatore. Inoltre ”dall’analisi sul telefono trovato addosso a uno dei cinque uomini è emerso che, a mezz’ora della scomparsa di Giulio, si trovava a 100 km dal centro del Cairo”.
Legale famiglia Regeni: “dall’ Egitto ostruzionismo e depistaggi”. In sostanza secondo Alessandra Ballerini, legale di parte civile della famiglia di Giulio Regeni: “E’ emersa l’assoluta mancata collaborazione egiziana, l’ostruzionismo e i depistaggi. Abbiamo capito le informalità con cui sentivano questi testimoni, non venivano fatti i verbali. Ai nostri investigatori di fatto era impedito di fare domande dirette, e anche chiedere agli egiziani di fare delle domande se questi non le ritenevano pertinenti o più che altro le ritenevano scomode non le ponevano ai testi”, ha sottolineato la Bellerini.