Attentato in Daghestan. Mosca: “Conclusa operazione antiterrorismo”
Sale il bilancio delle persone rimaste uccise negli attacchi a Derbent, nella Repubblica autonoma del Daghestan, nella Russia meridionale. Sono 16 al momento. 25 invece i feriti Ieri un commando di uomini armati ha aperto il fuoco contro una sinagoga, una chiesa e, subito dopo, un posto di polizia stradale tra Derbent e Makhachkala. Tra le vittime almeno 15 agenti di polizia e un prete. Dopo l’attentato i terroristi hanno incendiato i due luoghi di culto. Secondo il ministero dell’Interno, almeno sei terroristi sono stati uccisi.
Secondo le prime ricostruzioni fornite dalle autorità locali del Daghestan, ieri pomeriggio verso le 18, ignoti hanno sparato contro una sinagoga e una chiesa con armi automatiche. I sospettati sono scappati a bordo di una vettura. Anche Israele ha seguito da subito con grande preoccupazione tutta la vicenda: l’ambasciata israeliana a Mosca, ha fatto sapere il ministero degli Esteri di Tel Aviv, si è messa immediatamente in contatto con i leader della comunità ebraica del distretto di Derbent. Secondo fonti israeliane, “al momento dell’attacco non c’erano fedeli nella sinagoga”.
Una fonte vicina alla polizia locale ha riferito all’agenzia Tass che gli autori di questi attacchi “sono membri di un’organizzazione terroristica internazionale”. Questa mattina il Comitato nazionale antiterrorismo ha dichiarata conclusa l’operazione.
Il 28 ottobre dell’anno scorso questa Repubblica a maggioranza musulmana era stata teatro di un atto apertamente antisemita: all’aeroporto della capitale, Makhatchakala, decine di persone presero d’assalto la pista e il terminal dopo che era stato annunciato l’atterraggio di un aereo proveniente da Israele, urlando “Allah u Akbar”, in quella che era sembrata a tutti una vera a propria caccia all’uomo.
All’epoca, Mosca accusò il governo di Kiev di avere “un ruolo chiave” in quell’azione. La portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, disse che l’obiettivo dell’Ucraina era quello di “destabilizzare la Russia” provocando divisioni etnico-religiose. “Accuse assurde”, era stata la replica di Washington.