Terremoto a L’Aquila, sentenza shock: “nessun colpevole per i 7 studenti morti”
Terremoto a L’Aquila. Una sentenza scioccante e destinata a far discutere quella legata ai processi civili per i decessi avvenuti durante il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009. La Corte d’Appello ha confermato il pronunciamento di primo grado del 2022 che aveva scagionato la Presidenza del Consiglio dei ministri da ogni responsabilità per la morte di sette studenti, rimasti coinvolti in vari crolli nel terremoto di circa 15 anni fa. Oltre al danno del mancato risarcimento, per i familiari delle giovani vittime si aggiunge anche la beffa visto che dovranno anche pagare le spese legali del processo, che ammontano a quasi 14 mila euro.
Le motivazioni. Secondo i giudici, i giovani hanno assunto delle “condotte incaute”, non lasciando le strutture a seguito delle scosse. Una decisione presa però a seguito dei messaggi rassicuranti diffusi ai cittadini dalla Commissione Grandi Rischi. Ma secondo i giudici “in linea generale, il compendio probatorio acquisito ha smentito o, comunque, non ha confermato la tesi secondo cui gli esperti partecipanti alla riunione del 31 marzo, “avessero, a priori, l’obiettivo di tranquillizzare la popolazione e, quindi, di contraddire o minimizzare quanto desumibile dai dati oggetto della loro valutazione scientifica”.
Sempre secondo i giudici, i ragazzi non sarebbero stati condizionati e quindi rassicurati dalle risultanze dei comportamenti dei componenti della Commissione Grandi Rischi presenti all’Aquila cinque giorni prima del sisma, il 31 marzo 2009, e nemmeno dalle dichiarazioni in tv di De Bernardinis e, alla stampa, dall’allora sindaco, Massimo Cialente.
La Commissione si era riunita all’Aquila il 31 marzo 2009, cinque giorni prima del terremoto. Il Tribunale dell’Aquila aveva precedentemente condannato a sei anni i sette scienziati che parteciparono alla riunione. In secondo grado è però arrivata l’assoluzione per tutti, eccetto che per Bernardo De Bernardinis, vice capo della Protezione civile, condannato a due anni con pena confermata dalla Cassazione.
Contro la decisione della Corte di Appello dell’Aquila è probabile il ricorso in Cassazione.