Spettacolando – Anna Zago, quando il teatro è la vita
Anna Zago a Vicenza vuol dire teatro: spettacoli, regie, corsi e tanto lavoro nelle scuole. O la conosci tu o la conosce un tuo collega di lavoro, o l’amica di tua figlia. Il teatro per Anna è la vita stessa che non può scindere in lavoro, passione e famiglia; anche perché lei, per vivere appieno questo mondo, alla famiglia tradizionale ha scelto di rinunciarci.
Anna in realtà è nata a Padova, con un padre pittore e una madre che gli ha permesso di dedicarsi alle sue tele a tempo pieno. Alle cose pratiche ci avrebbe pensato lei per tutti: marito e figli. Frequenta il liceo classico (che forgiava più del servizio militare) e finisce sui libri di architettura a studiare superfici e strutture. Nel frattempo arriva il teatro, che la butta in mare a nuotare senza salvagente.
A Padova conosce e frequenta infatti l’attore teatrale Aristide Genovese, e attraverso la sua fidanzata (la ballerina Ester Mannato), conosce Piergiorgio Piccoli, autore, regista e attore vicentino. I due finiscono col dirsi: “E se facessimo qualcosa insieme? Di teatro, però”. Così lei si trasferisce a Vicenza e da quell’incrocio stile miti greci (o Beautiful), s’innamorano e si sposano: Anna con Piergiorgio, Aristide con Ester. i quattro nel 2001 fondano Theama Teatro e cominciano a fare sul serio. La loro avventura trova nel Teatro Bixio la loro prima casa e nello Spazio Ab23, ex chiesa sconsacrata, la dependance alla quale ridanno vita con un progetto sulle pratiche filosofiche di comunità.
La scuola
Contemporaneamente, Anna inizia a lavorare con le scuole e moltiplica ogni anno gli istituti con cui collabora, che diventano una costola della sua vita, non solo professionale. “Il teatro – spiega Anna – è quello spazio dove prima impari a toglierti la maschera, poi a indossarla per recitare: come vuoi tu. Scegli tu dove arrivare: i tuoi obiettivi, il tuo posto nel gruppo, quali limiti superare, quali accettare. Per questo il teatro nelle scuole non dovrebbe essere un’opzione ma parte integrante del programma: perché se scuola vuol dire crescita, teatro è quell’arte dove impari a diventare cittadino. La classe di un istituto scolastico è una società in miniatura, il primo luogo dove impari davvero a relazionarti agli altri. La consapevolezza del posto, dello stare, il controllo dell’area in cui sei, che abiti lavorando su consapevolezza di voce e corpo: per ritrovare lo spazio collettivo che abbiamo perso”.
Anna parla come un fiume in piena ma per avere prova tangibile del valore di queste parole è sufficiente assistere a uno spettacolo di fine anno e osservare le espressioni degli studenti. I loro occhi non mentono mentre la guardano come qualunque adulto sognerebbe di essere visto da un gruppo di adolescenti (mentre lei gli occhi li abbassa per non rubare loro la scena e cerca di portarli dove non si scorga la sua emozione). “Avete fatto tutto voi”, ma nessuno le crede mentre si vede l’adrenalina scendere, mentre torna a respirare; e pensare: è andata, è andata bene. “C’è bisogno di tornare al teatro collettivo – spiega – e da questa necessità nasce il progetto sulle pratiche filosofiche di comunità. Dobbiamo rileggere Pasolini e Gaber, ridare attenzione all’eredità che ci hanno lasciato: dobbiamo tornare allo sviluppo del pensiero critico, reimparare a dialogare e ascoltare”. Ha ragione Anna a ricordare quello che dicevano negli anni ’70: “siamo tutti in pericolo”.
Il dàimōn
L’attrice padovana, e vicentina d’adozione, pensa che gli studi di architettura non l’abbiano aiutata: forse non a divenire un nuovo Dedalo ma a rivisitare gli spazi magari sì. Forse Anna non sa neppure che alla domanda sei felice? quelli che non hanno fatto il classico di solito rispondono con una smorfia mentre lei sospira e dice: “Bisognerebbe chiedersi cosa s’intende per felicità”. Poi con naturalezza si ferma a ragionare sull’origine della parola eudaimonìa, la realizzazione del proprio dàimōn interiore (che non è il demone), passando per il mito di Er, la rinascita dell’anima davanti alle tre Moire, con una lunga digressione sul destino che ci è assegnato. Per concludere: “felicità è quando realizzi chi hai deciso di essere”.
Lo spazio collettivo
Anna Zago nel teatro ha anche un ruolo politico e presiede il Res (Rete Spettacoli dal Vivo) che coordina e promuove il lavoro di trenta compagnie teatrali venete. “Per fare teatro i fondi pubblici non sono un vezzo ma una necessità: com’è pensabile che alcuni progetti possano esistere con il solo sbigliettamento? Il teatro è cultura, è un valore per la società come quando parliamo di scuole e ospedali”.
E’ quasi impossibile spostarla dal suo dàimōn e ha le idee molto chiare sui pittori che l’hanno segnata e tuttora le smuovono i sensi fino a farla sobbalzare. Gli sfondi, i paesaggi monocolore, la materia: le luci delle tenebre, angeli e diavoli. Quale che sia la forma d’arte di cui si discorre, da Pollock a Kiefer, da Il Giovane Holden a Gaber, si torna sempre lì: lo spazio collettivo. “Dobbiamo tornare a comunicare, discutere, definire un pensiero consapevole. Che siano colori, parole o suoni, dobbiamo cercare gli elementi attraverso i quali poterci esprimere in una ricerca che non può avere fine, perché è il mutamento il dàimōn stesso”.
Alla fine della lunga chiacchierata Anna appare provata e alla domanda stile Marzullo “la vita è teatro o il teatro aiuta a vivere meglio” sospira: “Non so se il teatro aiuti a vivere meglio, forse no”. Lei parla di chi il teatro lo fa, mentre la domanda in realtà intendeva rivolgere lo sguardo verso chi il teatro lo vive da spettatore. Forse in questo malinteso ci sono le due facce del teatro: che fanno ridere e piangere, che svelano quel legame indissolubile che questo mondo porta sul piatto. Teatro è la società stessa, siamo noi il teatro. Teatro è “quel luogo dove cambiamo attraverso e con gli altri”, in un flusso senza fine che si chiama vita. Teatro è quella dimensione dove gli studenti ti dicono grazie con gli occhi lucidi. Teatro è far scorrere sangue nelle vene. Inspirare. Espirare. “Stare”.
Paolo Tedeschi