Dissesto idrogeologico, Giuseppe Baldo: “Contro le alluvioni è fondamentale la resilienza del territorio”

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Inutile negarlo: ormai, ogniqualvolta le previsioni meteo segnalano pioggia, la paura cresce. Il timore che i corsi d’acqua esondino e allaghino i territori limitrofi è divenuto una costante. Viene quindi spontaneo domandarsi: è possibile prevenire efficacemente le alluvioni? Giuseppe Baldo – 58 anni, ingegnere idrauilico thienese d’adozione e consulente per enti come la Regione Veneto (per le Olimpiandi Milano-Cortina) e in passato per il Ministero dell’Ambiente (per i problemi idraulici e ambientali della Laguna di Venezia) – ne ha parlato con Mariagrazia Bonollo e Gianni Manuel ai microfoni radiofonici nella rubrica di Radio Eco Vicentino Parlami di Te.

“Sono arrivato a questa professione per caso – confessa Giuseppe -. Mi sono diplomato al liceo classico, ma tutti i mei amici andavano a studiare ingegneria. E quindi sono andato anch’io a studiare ingegneria all’Università di Padova”. Una svolta non da poco, della quale però non è assolutamente pentito: “È stata una scoperta, perché l’ingegneria idraulica è veramente affascinante: si lavora per la natura, non contro la natura come normalmente si crede. Non dobbiamo difenderci dalla natura, dobbiamo lavorare con lei: sono convinto che se non la ascoltiamo, prima o poi la pagheremo molto cara, e già succede”.
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“L’ingegnere idraulico si occupa di molte cose – prosegue Giuseppe -. Ad esempio di tutte le fasi del ciclo dell’acqua. Studia l’idrologia di un territorio, ma si occupa anche del territorio stesso: di come controllare le piene o costruire i bacini”. Una figura fondamentale per un territorio come quello vicentino, che è ricco d’acqua: “Acqua che però ogni tanto viene a mancare. E questo a causa della doppia faccia del cambiamento climatico: arriva la bomba d’acqua e poi per un periodo non piove più”.
In questa situazione, “l’acqua arriva su un terreno che è impermeabile. Di conseguenza non viene trattenuta e fa danni”. Come trattenerla? “Ci sono varie possibilità. Le casse di espansione sono un esempio: trattengono l’acqua durante le precipitazioni intense e prolungate e poi la restituiscono lentamente. Il problema è che nessuno le vuole, anche se tutti dicono che sono utili. E questo perché vanno a portare via territorio agricolo. Bisogna anche evitare di chiudere i fossi, e garantirne la manutenzione”.

Per quanto riguarda la pulizia dei fiumi, che molti cittadini lamentano sia trascurata, con danni nel momento delle piene, Baldo ricorda che la questione è molto dibattuta: “La tradizione dice che i fiumi deve garantire la massima velocità dell’acqua. Quindi, in molti casi, vengono completamente cementati, per fare in modo che l’acqua corra via. Il fiume, però, è un elemento naturale molto importante per l’ecosistema: se privo di vegetazione non si autodepura. Si avrà una maggior capacità di deflusso, ma l’acqua sarà sporca. Quindi come si risolve la situazione? Se si ragiona con la natura, è lei stessa a darci le soluzioni. Nelle casse di laminazione, ad esempio, si può creare un ecosistema naturale che conviva con la presenza dell’acqua. Tale area, di consegeunza, può diventare un’oasi naturale”.

I danni derivanti dalle esondazioni e dalle conseguenti alluvioni vengono così spiegati da Giuseppe: “Attraverso la cementificazione, abbiamo ridotto i volumi d’acqua che possono essere stoccati nel territorio. In secondo luogo, abbiamo aumentato la velocità dell’acqua. Se grazie ad anse, fossi e canali una volta arrivava al mare impiegandoci del tempo, oggi invece arriva sparata. Il risultato è che i nostri fiumi hanno una portata maggiore”. Inoltre “non deve essere dimenticato il cambiamento climatico. Statisticamente, è diventata più frequente la pioggia intensa. Significa che più spesso piove di più rispetto a vent’anni fa. Ancora una volta, abbiamo più volume in poco tempo. Quindi le portate aumentano”.

Ma quindi a che punto siamo in fatto di prevenzione? “La prevenzione diventa legge nel 1989. Da questa nascono le autorità di bacino, con il compito di prevenire piuttosto che curare. Questi enti hanno provato a fare i piani di bacino, che significa gestire l’acqua in maniera totale. Però non riescono a metterli in pratica, perché le regole previste si sono sempre scontrate con le necessità dell’edilizia. Negli ultimi due-tre anni, le autorità di bacino sono entrate in modo pesante nella programmazione e infatti adesso ci sono un sacco di problemi. Molti progetti si bloccano perché non rispettano i parametri”.

“La Comunità europea – prosegue l’ingegner Giuseppe Baldo – detta dei principi che prevedono la realizzazione di opere strutturali e non strutturali. Le opere strutturali sono quelle che vengono realizzate dove non è possibile dare spazio al fiume, cercando comunque di aumentare la capacità di trattenere l’acqua piuttosto che spararla verso valle. Le azioni non strutturali consistono, invece, nell’informare. Spiegare che il rischio esiste e bisogna essere resilienti, cioè aumentare la nostra capacità di resistere agli eventi estremi”.

“Poi ci sono i piani della protezione civile, che indicano cosa fare in caso di emergenza. Devono spiegare quali sono i rischi del territorio, inclusa l’acqua”. Infine, qualche parola su come comportarsi in caso di eventi estremi: “Il nostro territorio è coperto da una serie di app e siti collegati all’Arpav. Da questi è possibile monitorare il livello di allerta per una determinata zona. Quando l’allerta è alta, si deve seguire tutta una serie di consigli. Le aziende più illuminate poi, sapendo di vivere in un territorio a rischio, fanno il piano di emergenza. È ora di cominciare a pensarne uno specifico per il rischio legato agli allagamenti”.

Gabriele Silvestri