Cgia: per i tempi lunghi per i pagamenti della P.A, le imprese “perdono” 30 miliardi di euro
Nonostante l’impegno a più riprese espresso dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio sulla necessità che lo Stato sveltisca le procedure dei pagamenti alle imprese che forniscono beni o servizi, tornano a dilatarsi le tempistiche della Pubblica amministrazione che “privano” le imprese di 30 miliardi di euro.
A segnalarlo è la Cgia, precisando che nel 2018 la media è salita a 104 giorni. Nel 2017 il compenso veniva corrisposto dopo 95 giorni dall’emissione della fattura, contro i 30 stabiliti dalla normativa europea (che possono salire a 60 per alcune forniture). Nessun’altro Stato nell’Ue salda i debiti commerciali in tempi così lunghi.
Rispetto alla media europea, ad esempio, nel nostro Paese i ritardi sono superiori di 63 giorni. Se in Italia i giorni medi necessari riferiti al 2018 sono saliti a 104, in Spagna e in Francia ci vogliono rispettivamente 56 e 55 giorni per liquidare i fornitori. In Germania, invece, il dato è salito a 33 giorni, mentre in Gran Bretagna si è attestato a 26.
Proprio a dicembre 2017 la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia Ue per il mancato rispetto delle disposizioni europee contro i ritardi di pagamento. Dagli ultimi dati della Banca d’Italia sul 2017, lo stock di debiti commerciali in capo alla Pubblica amministrazione italiana sarebbe sceso da 64 a 57 miliardi di euro.
E in attesa che il Tesoro riesca a dimensionarli con esattezza, si stima, al netto della quota riconducibile ai ritardi fisiologici (ovvero entro i 30/60 giorni), che le imprese fornitrici vanterebbero circa 30 miliardi di crediti dalla P.a.
Dal 2015 è stato inoltre introdotto lo ‘split payment’, che obbliga le amministrazioni centrali dello Stato (e dal 1° luglio 2017 anche le aziende pubbliche controllate dallo stesso) a trattenere l’Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all’erario. L’obiettivo è quello di evitare che una volta incassata l’Iva dal committente pubblico, le aziende fornitrici, che secondo Banca Ifis nel 2017 sono state circa un milione, non la versino al Fisco. Il meccanismo, sicuramente efficace nell’impedire che l’imprenditore disonesto non versi l’Iva all’erario, ha però provocato molti problemi finanziari a tutti coloro che con l’evasione, invece, nulla hanno a che vedere.
Stando alla Ragioneria Generale dello Stato, attualmente il ministero dell’Economia ha informazioni “solo” sul 70% dell’importo complessivo saldato ogni anno dalla P.a., che si aggira attorno ai 160 miliardi di euro. Per questo motivo 48 miliardi di pagamenti ancora adesso non transitano attraverso la piattaforma informatica. Pur essendo costretti a imporre per legge la fattura elettronica ai propri fornitori, molti enti pubblici, usano mandati di pagamento cartacei, non consentendo al Tesoro di certificare i ritardi e le somme non ancora liquidate.
Tutto questo, stando alle disposizioni di legge previste nella legge di Bilancio 2017 e dai successivi decreti attuativi, dovrà cessare entro il prossimo 30 settembre. Dal giorno successivo, infatti, tutta la Pubblica amministrazione italiana (Sanità inclusa) sarà obbligata a transitare sia in entrata sia in uscita attraverso la piattaforma Siope+.