Caso Regeni, parla un testimone: “Giulio bendato, sfinito dalle torture in carcere”
Quando sono trascorsi 8 anni dalla scomparsa di Giulio Regeni, emerge una testimonianza scioccante. Un racconto drammatico degli ultimi giorni del giovane ricercatore friulano, una testimonianza diretta delle torture subite e della detenzione nella struttura carceraria degli apparati di sicurezza egiziani al Cairo. A fornire questo racconto sconcertante ai giudici della prima corte d’assise di Roma è un testimone oculare, un cittadino palestinese, che in quel periodo del 2016 era detenuto nello stesso carcere dove venne portato Giulio Regeni. In aula è stato dunque mostrato il video dell’intervista a questo testimone raccolta in un documentario poi mandato in onda su Al Jazeera. In particolare, gli incontri con Regeni ai quali si riferisce il cittadino palestinese avvennero il 28 e il 29 gennaio del 2016, pochi giorni dopo la sua sparizione nei pressi di una fermata della metropolitana nella capitale egiziana.
“L’ho visto arrivare dal corridoio – ha raccontato il testimone oculare -, era a circa cinque metri da me. Giulio era ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati e accompagnato da due guardie carcerarie. Gli interrogatori duravano ore. L’ho rivisto dopo, era sfinito dalle torture: le guardie lo portavano a spalla, lo riaccompagnavano verso la sua cella. Non era nudo indossava degli abiti, dei pantaloni scuri e una maglietta bianca”. L’uomo ha poi riportato un altro fatto: “I carcerieri insistevano molto con la domanda ‘Giulio dove hai imparato a superare le tecniche per affrontare l’interrogatorio?’. Erano nervosi, usavano le scosse elettriche su Giulio, lo torturavano con la corrente. Oltre ai carcerieri c’erano gli investigatori, ufficiali che non avevo visto prima e un colonnello, Ahmad, un dottore specializzato in psicologia. Anche il colonello Tareq – ha proseguito l’intervistato – ha ripetutamente assistito agli interrogatori di Giulio”.
Il testimone, nel corso del suo racconto, ha poi affermato di non avere visto sul corpo di Regeni segni di tortura, elemento invece riscontrato da un altro detenuto, attraverso un’altra testimonianza incrociata. Nel corso del colloquio registrato, il cittadino palestinese ha anche raccontato delle condizioni disumane in cui erano tenuti all’interno della struttura. “Eravamo in isolamento totale, le celle erano molto strette, fredde, umide e maleodoranti. Nel periodo dell’interrogatorio non si riceveva cibo e nel periodo successivo, quello della reclusione, le pietanze venivano servite ma era cibo assolutamente scadente“. E ancora: “Eravamo isolati dal mondo esterno. La sensazione era quella di stare in un sepolcro“. Il racconto del testimone oculare termina poi con una nota sulla sua disavventura personale: “Sono stato sequestrato, detenuto e poi liberato senza un perché“.
Nel corso dell’udienza è stata ascoltata anche la sorella di Regeni, Irene, che – visibilmente commossa – ha ricordato i giorni del sequestro e del ritrovamento del corpo. “Ricordo una telefonata di mia madre, mi disse: ‘hanno fatto tanto male a Giulio‘. La parola tortura però l’ho sentita per la prima volta al telegiornale”, ha detto la 32enne. Parlando di Giulio, lo ha descritto come “un ragazzo normalissimo a cui piaceva divertirsi”. “Era un esempio per me – ha spiegato la sorella -, il fratellone che dava consigli”. E ancora: “avevamo punti di vista diversi sulle cose: lui era un umanista e io una scienziata. Eravamo sempre in contatto sulle cose importanti: ci sentivamo tramite chat e tramite mail. Giulio – ha concluso – è stato sempre appassionato di storia, studiava l’arabo. Dopo il corso triennale andò per la prima volta in Egitto. Era aperto a conoscere culture diverse, in particolare quella egiziana: era entusiasta di andare lì, era contento per la ricerca sul campo”.