Pfas negli acquedotti, ricerca di Greenpeace: in Veneto 19 campioni contaminati su 20

I Pfas sono presenti negli acquedotti di tutta Italia, lo confermano i risultati di un’indagine di Greenpeace, che, prima che lo facciano le istitutizioni deputate a questo, ha presentato la prima mappatura della contaminazione nelle acque potabili italiane.

In Veneto sono risultano contaminati 19 campioni su 20, dato che la pone fra le regioni dove la situazione è più critica, insieme a Liguria (8/8), Trentino Alto Adige (4/4), Valle d’Aosta (2/2),  Emilia Romagna (18/19), Calabria (12/13), Piemonte (26/29), Sardegna (11/13), Marche (10/12) e Toscana (25/31). Fra le città con le concentrazioni più elevate ci sono Arzignano, Vicenza, Padova, San Bonifacio, Chioggia, Lonigo e Rovigo. Arzignano, in particolare è la quarta, dopo Arezzo, Milano e Perugia.

L’indagine
La spedizione ”Acque senza Veleni” di Greenpeace Italia si è svolta tra settembre e ottobre 2024 per verificare la contaminazione da Pfas (sostanze poli- e per-fluoroalchiliche) dell’acqua potabile in tutte le regioni d’Italia. E’ stata voluta da Greenpeace per rispondere alla crescente preoccupazione della popolazione e per sopperire alla mancanza di dati pubblici a riguardo. I Pfas, noti anche come “inquinanti eterni”, sono sostanze chimiche usate in numerosi processi industriali e prodotti di largo consumo, che si accumulano nell’ambiente e che sono da tempo associate a gravi rischi per la salute.
Ben prima di enti pubblici e agenzie governative Greenpeace, infatti, ha realizzato la prima mappa nazionale della contaminazione da Pfas nelle acque potabili italiane, misurando la presenza di queste molecole nelle reti acquedottistiche di tutte le Regioni italiane. 58 le sostenza monitorate, ossia più del doppio delle 24 molecole che la nuova direttiva europea impone di quantificare. Greenpeace ha anche analizzato la presenza di molecole ultracorte (ad esempio acido trifluoroacetico, tfa, e acido perfluoropropionico, PFPrA) su cui, nonostante le preoccupazioni della comunità scientifica internazionale e dei legislatori comunitari per i loro effetti sulla salute umana, non esistono dati pubblici anche laddove si effettuano i controlli sui Pfas.

In 206 campioni su 260 analizzati, è stata trovata almeno una delle 58 sostanze PFAS monitorate: ciò significa che il 79% dei campioni di acqua potabile risulta contaminato.
Per realizzare la prima mappa nazionale indipendente della contaminazione da composti poli- e per-fluoroalchiliche (Pfas) nell’acqua potabile, l’organizzazione ha raccolto 260 campioni in 235 comuni appartenenti a tutte le Regioni e Province autonome italiane. La quasi totalità dei campioni è stata prelevata presso fontane pubbliche e, una volta raccolti, i campioni sono stati trasportati presso un laboratorio indipendente e accreditato per la quantificazione di 58 molecole appartenenti all’ampio gruppo dei Pfas.
Per ogni provincia, i campionamenti hanno interessato tutti i comuni capoluogo e almeno un altro comune. In alcune grandi città sono stati eseguiti due campionamenti. L’obiettivo della nostra indagine è non solo fare luce su una delle forme di inquinamento più pericolose che abbia mai colpito il nostro Paese, ma anche spingere le istituzioni a mettere in atto misure concrete per proteggere la popolazione contro i Pfas.

Le richieste al governo
Greenpeace Italia chiede al governo Meloni, ai ministri competenti e al parlamento di “assumersi le proprie responsabilità e garantire a tutte e tutti noi un diritto minimo essenziale: l’accesso ad acqua pubblica pulita e non contaminata”.
In particolare, l’organizzazione ambientalista chiede di: “varare una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i Pfas in Italia; definire limiti più severi alla presenza di Pfas consentita nelle acque potabili, allineando tali soglie a quelli vigenti in altre nazioni come Stati Uniti e Danimarca; garantire a tutta la popolazione l’accesso ad acqua potabile priva di Pfas; fissare per le industrie un valore limite allo scarico di queste sostanze in ogni matrice (acqua, aria, suoli) oltre a limiti restrittivi nei depuratori civili e industriali e nei fanghi; supportare i comparti produttivi nazionali in un piano di riconversione industriale che faccia a meno dei Pfas, puntando su soluzioni alternative già disponibili.