CineMachine – The Lobster
Da questa settimana inizia sulla nostra testata online una nuova rubrica dedicata al mondo del cinema curata da Davide Perin, un giovane con grande conoscenza della materia trattata. Si chiamerà “CineMachine”, la macchina che vi porterà a scoprire la storia, le curiosità, gli spettacoli e gli eventi collegati al mondo del cinema. Ogni settimana ci sarà un film consigliato e ogni due settimane una lista di film che usciranno nelle sale vicentine. Inoltre la collaborazione di Davide verrà arricchita con notizie collegate agli spettacoli o eventi cinematografici che si terranno sul nostro territorio.
The Lobster
Quando si parla di amore e soprattutto di relazione all’interno di un itinerario cinematografico mi risulta sempre difficile cogliere ogni singola sfumatura, perché molto spesso ci si lascia trascinare dai fatti narrati e dai personaggi, perdendo di vista i dettagli. C’è da dire che in The Lobster di sfumature e dettagli ce ne sono e sono tanti e difficili da comprendere, se non li si guarda con attenzione.
Dalla mente del regista greco Yorgos Lanthimos nasce un’opera che ha in sè dello straordinario per la maniera in cui riesce a mescolare il fiabesco con il grottesco ed implementare il cinema con la critica, che oggi giorno sembra essere un modo vecchio di fare cinema, quando invece promuovere un cinema di questo genere, più vicino alla società in cui viviamo, non sarebbe cosa da bocciare. Forse è proprio per questo motivo che il film di Lanthimos è passato abbastanza inosservato dai più e quindi non vedo perché non consigliarlo in questo primo articolo.
Se dovessimo descrivere questo film con alcuni aggettivi, questi potrebbero risultare insufficienti o meglio inconsistenti, sia perché ognuno di voi potrebbe descrivere il film in diversi modi, senza dire esattamente quello che ha provato durante la visione, e sia perché l’estensione di sensazione che questo film possiede è davvero immensa e molto variegata. Provandoci, il film risulta a tratti ironico, ma anche cruento. Beffardo, controverso, agghiacciante per certi aspetti, ma anche dolce, tenero, sentimentale per altri.
Questo è The Lobster. Un film che tratta le relazioni che noi abbiamo e dobbiamo avere, almeno in questo futuro distopico dove la storia è ambientata, con un partner che ci rispecchi per quello che siamo o per ciò che pensiamo di essere. Di fatti, in questo mondo alternativo al nostro, chi non è impegnato in una relazione stabile con un altro essere umano deve trascorrere quarantacinque giorni all’interno di un fantomatico hotel. Scaduti questi quarantacinque giorni, se il “soggetto” non avrà trovato un partner con cui passare il resto della sua vita, verrà trasformato in un’animale a sua scelta. Da qui il titolo “The Lobster” che tradotto significa “L’Aragosta”.
Siamo dalle parti del teatro dell’assurdo o se preferite della commedia nera, dove i nostri protagonisti non sono portati a reagire, a ribellarsi a questo modo di procedere delle istituzioni sociali che hanno sintetizzato brutalmente l’emozioni ed i rapporti tra le persone in un semplice meccanismo a cui tutti si devono assoggettare, quasi fosse la cosa più naturale del mondo. È un po’ quello che succede quando guardiamo nei diversi canali mediatici delle emozioni che non sono reali, ma sono programmate per creare audience, mentre noi pensiamo che quelle siano emozioni vere e cerchiamo di provarle a nostra volta, nella nostra vita vera. Il meccanismo è simile, perché quello che ci viene mostrato, anche nel campo emozionale e sentimentale diventa con il tempo il nostro ideala di realtà emotiva ed affettiva. Allora dobbiamo trovarci assolutamente qualcuno che ci stia vicino e riempia la nostra solitudine, rischiando così di creare sempre più dei rapporti superficiali e di strumentalizzare costantemente le persone che si stanno attorno. Non è più questione di seguire un proprio desiderio, ma è questione che bisogna perché la società te lo chiede e si è così abituati ad obbedire che non si mettono più in dubbio le regole.
Il problema è che anche quando ci vogliamo liberare da questo sistema è molto facile cadere dalla parte opposta, ovvero essere totalmente isolati l’uno dall’altro. Non potersi amare liberamente, perché costretti da un qualcosa che da una parte ci lega e dall’altra ci divide. È questa la dicotomia che Lanthimos mette in gioco. Un’enorme lente di ingrandimento sull’influenza che la società contemporanea può avere sulle nostre scelte e che ci mostra quanto in realtà siamo schiavi di meccanismi e sistemi posti a far sì che il mondo continui a girare attraverso relazioni basate più sul compromesso, più sulla finzione e sulla convenienza che non su un sentimento vero e genuino che nel film viene di continuo ostacolato, ma che è imperterrito e non smette di creare anche lui i suoi meccanismi, i suoi codici per svincolarsi, per scivolare via dalle chiusure di una realtà che non è asservita all’uomo, ma semplicemente a se stessa.