Lavoratori della BPVi in presidio: “non staremo in silenzio”
In attesa delle decisioni del Consiglio di amministrazione di domani e di un piano industriale per la Banca Popolare di Vicenza, stamattina è andata in scena la protesta dei dipendenti: c’erano infatti praticamente tutte le principali organizzazioni sindacali (anche la Uil, che inizialmente sembrava non partecipasse) stamattina in via Battaglione Framarin, all’assemblea che ha preceduto un presidio davanti all’ingresso della direzione generale dell’istituto bancario berico. Con lo slogan “siamo bancari, non banchieri”, i dipendenti hanno prima tenuto un’assemblea in Sala Pavesi e poi manifestato davanti alla sede principale della banca, chiedendo “soluzioni necessarie, urgenti ed equilibrate che restituiscano a tutti i dipendenti la dignità del proprio lavoro”.
Erano presenti i lavoratori delle sigle sindacali Fabi, First-Cisl, Fisac-Cgil, Unisind e una rappresentanza di Uilca-Uil del gruppo bancario. “Ringraziamo i numerosi colleghi che hanno partecipato questa mattina all’assemblea. Tutti i dipendenti che ci hanno sostenuto da lontano. Anche in Sicilia si stanno tenendo Assemblee molto partecipate” hanno affermato i rappresentanti sindacali. “Molti dipendenti, dopo aver già perduto dignità professionale e risparmi, fiduciosamente investiti in azioni Popolare di Vicenza – sostengono i manifestanti – dalla stampa apprendono quotidianamente che è a rischio il loro posto di lavoro. Le responsabilità del disastro della Popolare di Vicenza non possono essere ricondotte ai lavoratori, che operano con vincolo di subordinazione, ma vanno addebitate a chi lo ha effettivamente provocato”. “Temiamo per il nostro futuro, stiamo già pagando le ricadute sociali della crisi della banca – affermano i lavoratori – e non vogliamo diventare il capro espiatorio di tutti i mali del gruppo. Vicenza non farà da apripista, nel settore, a tentativi di tagli selvaggi e di risparmi a scapito dei lavoratori. Noi non staremo in silenzio, questo è solo l’inizio”.
Per questo i sindacati ribadiscono il proprio no “a cure americane ovvero a tentativi di licenziamenti, facendo del gruppo l’apripista per tutto il resto del settore bancario, così come a tentativi di trattative basate esclusivamente sui tagli del costo del personale senza un piano industriale con prospettive future”.
I lavoratori chiedono anche la salvaguardia del posto di lavoro per i lavoratori di tutte le aziende del gruppo e esodi su base volontaria “che il settore si è sempre autonomamente gestito”.