CineMachine | Oltre il giardino
REGIA: Hal Ashby ● CAST: Peter Sellers, Shirley MacLaine, Melvyn Douglas, Jack Warden, Richard Dysart, Richard Basehart, Ruth Attaway, David Clennon, Fran Brill, Denise DuBarry, Alice Hirson, Jerome Hellman, John Harkins, James Noble ● GENERE: commedia, drammatico ● DURATA: 130 minuti ● DATA DI USCITA: 15 Ottobre 1980 (Italia)
Oltre il giardino del 1979 per la regia di Hal Ashby.
Storia: Un semplice giardiniere di nome Chance (Peter Sellers) ha trascorso tutta la sua vita nella casa di un vecchio uomo a Washington D.C. Quando l’uomo muore, Chance viene messo in strada, abbandonato completamente a se stesso, senza alcuna conoscenza del mondo, tranne ciò che ha imparato dalla televisione.
In questa garbata commedia dal sapore inglese, il volto scavato di Peter Sellers mi ha commosso dal primo all’ultimo secondo di film. Un Peter Sellers che all’epoca era già ammalato, ma che mette il cuore e l’anima in questo piccolo capolavoro e non mi potevo non commuovere profondamente, quando lo vidi nell’ultima scena di questo film, una delle più belle che mi sia mai capitato di vedere, che esprime compiutamente quel senso di delicatezza che poche volte si rispecchia nel mondo in cui viviamo.
Non è solo quest’ultima scena, ma è la storia in sé stessa ad esprimere un sentimento dolcemente infantile che viene sostenuto magistralmente dall’istrionico protagonista che è, appunto, Peter Sellers, il quale è alla sua penultima apparizione prima di andarsene nel 1980. Non è solamente per il grande amore che nutro nei confronti di questo grande artista che consiglio la visione di questo titolo, ma è per l’intensa sensazione di pace e di armonia che è riuscita a trasmettermi, attraverso una storia molto semplice con una regia ben curata che accompagna i fatti per mano fino all’epilogo.
Oltre il giardino di Hal Ashby, che ricordiamo per altri suoi lavori come L’ultima corvé (1973) e Shampoo (1975), si carica di un umorismo multiforme, dato sia dalla caratterizzazione di Chance sia dalle battutine scambiate in un contesto dal sapore surreale, che diventa uno sguardo esemplare sul mondo. Chance si trova a confrontarsi con figure illustri e con tutti i loro timori o vizi. Diventa così una figura che esprime fiducia, sicurezza, costanza, quando in realtà ignora quasi totalmente tutto ciò che gli sta capitando attorno.
Chance sembra una persona con deficit cognitivi, ma la sua eleganza e i suoi modi lo contraddistinguono ampiamente e gli permettono di entrare da subito nell’alta società. Un folle lo si potrebbe definire, quando si avvicina ad una piccola banda di ragazzi neri, con tanto di coltello a serramanico, per chiedere dove trovare un giardino per lavorare o quando tenta di usare il telecomando del suo televisore per cambiare la realtà che lo circonda. “D’altra parte c’è sempre anche un po’ di ragione nella follia” questo diceva F. Nietzsche nel suo Così parlò Zarathustra.
Chance di fatto è visto da tutti gli altri personaggi come una sorta di filosofo o di messia, ovvero una personalità che riesce a guardare al mondo con occhi completamente diversi e ciò sorprende i personaggi del racconto, quando lo spettatore sa benissimo chi è Chance e non può far altro che acconsentire a questa sorta di truffa involontaria, perché troppo divertente a vedersi ed in più è interessante notare come le “banalità” che dice Chance diventano illuminanti per la maggior parte delle persone che lo ascoltano. Non a caso, ci sarà il tentativo anche di appioppargli delle cariche politiche molto importanti e questo è un discorso attualissimo, in quanto spesso ci capita di ascoltare dei discorsi dai contenuti molto banali, ma che riescono a sembrare di un profondità incredibile perché ben infiocchettati dai nostri media.
Non è tanto il contenuto, quanto la forma l’importante, e questo è un po’ ciò che Chance rappresenta. Sempre vestito appuntino con quell’aria amichevole e il suo modo di porsi e di parlare con gli altri. Alla fine per lo spettatore le verità illuminanti di Chance appaiono banalità in fin dei conti, ma per i personaggi della storia quelle banalità sono realmente verità illuminanti ed è qui che il film svela tutta la sua forte carica satirica.
Continuerei e concluderei proprio proseguendo con il pensiero del filosofo tedesco prima menzionato: “E quando vidi il mio diavolo, lo trovai serio, solido, profondo, grave: era lo spirito della pesantezza, tutte le cose cadono a causa di lui. [..] Su, uccidiamo lo spirito della pesantezza! Ho imparato a camminare: da quel giorno mi piace correre. Ho imparato a volare: da allora non voglio più essere spinto per muovermi dal mio posto. Ora sono leggero, ora volo, ora vedo me stesso sotto di me, ora un dio danza attraverso di me”.
Queste ultime parole sono l’apoteosi suprema dell’anima di questo film, della sua perspicacia a colpirci nella parte più sensibile ed affaticata di noi stessi. Quella parte che soffre per il carico che la vita ci pone sulle spalle, ma anche quella parte che slega quel carico e, qualche volta, riesce quasi a fluttuare, quasi ad innamorarsi del mondo che ci sta attorno. Ma questo sentimento è per chi ha nel profondo di sé un animo pacato, gentile e spensierato come quello di Chance.