Dl dignità: i sindacati bocciano i voucher: manca vera svolta lavoro
Lunedì in aula arriva il decreto Dignità approvato dalle commissioni Finanze e Lavoro. Un decreto che soddisfa il promotore ministro del lavoro Di Maio ma non del tutto i sindacati positivi sul capitolo delle delocalizzazioni e dei giochi, critici invece sul fronte lavoro ed in particolare sui voucher: la loro estensione nei settori dell’agricoltura e del turismo viene bocciata all’unisono non solo dalla Cgil, ma anche da Cisl e Uil.
Pur condividendo i principi della lotta al precariato e la stretta sui contratti a termine, per i sindacati nel testo manca una svolta vera per l’occupazione stabile. Comunque “non chiamiamolo decreto dignità”, attacca la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso: “La parola dignità è molto importante, bisognerebbe usarla con la giusta misura. La mia sensazione è che ormai il decreto non sia all’altezza di questo nome. Quindi permettetemi di chiamarlo decreto Di Maio, che forse permette di ricondurlo alla sua immediata natura”.
Quanto ai contenuti, sui voucher sono “una schifezza” dice ancora la Camusso, mentre va avanti la battaglia (dopo il referendum dell’anno scorso promosso dal sindacato per cancellarli, poi saltato perché abrogati con un decreto legge dal governo Gentiloni). La Cgil, infatti, ha lanciato con la petizione ‘NOvoucher’ e la mobilitazione tornando in piazza la prossima settimana in concomitanza con la discussione e il voto in Aula. Ma netto è il no anche di Cisl e Uil. “Malissimo e vergognosi i nuovi voucher”, dice il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra. “Avremmo preferito un po’ più di determinazione nella pur positiva stretta sui contratti a termine e, soprattutto, non avremmo voluto che si riallargassero le maglie per i voucher”, sostiene anche il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo.
Altra nota dolente quella sull’occupazione stabile: “Reputiamo sbagliata e poco coraggiosa la scelta di spostare in Stabilità il tema degli incentivi per il lavoro indeterminato – dice Sbarra – era qui, nel dl dignità, che andava garantita la svolta, con investimenti seri che diminuissero il costo del lavoro ed incentivassero fortemente le assunzioni, specie al Sud, con contratti a tempo indeterminato”.
Bene, invece, la riduzione delle proroghe per i contratti a termine e l’aumento per l’indennizzo in caso di licenziamento o conciliazione. Ma anche sul metodo il leader aggiunto della Cisl non risparmia un “giudizio molto critico: sui temi delle regole del mercato del lavoro il governo avrebbe dovuto discutere preventivamente con le parti sociali, anche perché non si ravvisano le condizioni di necessità e urgenza motivate con un decreto legge”. Ora, l’auspicio dei sindacati è che, durante l’iter parlamentare, il testo “possa essere migliorato”.
Critiche al dl dignità anche da Martina. “E’ il decreto disoccupazione, non il decreto dignità. Basta ascoltare le voci preoccupatissime di tanti imprenditori del Nord Italia e di lavoratori che rischiano di non vedersi rinnovato il contratto. Io credo che Lega e Cinquestelle devono rendersi conto che stanno facendo un clamoroso danno per imprese, lavoratori e famiglie”. Lo ha detto il segretario del Pd, Maurizio Martina, a proposito del dl dignità, a margine della Festa dell’Unità di Brescia.
Ma come cambia il lavoro col dl Dignità? I contratti a termine diventano più brevi e meno vantaggiosi. I nuovi voucher si estendono anche al turismo. Gli incentivi alle assunzioni stabili aumentano la loro platea. Il superamento del Jobs act voluto dal Movimento 5 Stelle con il decreto dignità, ribattezzato oggi da Luigi Di Maio “dignità 2.0” dopo le modifiche parlamentari, porta con sè una stretta antiprecarietà a cui si accompagna però anche l’allargamento dei “Presto”, gli strumenti di pagamento del lavoro occasionale, sponsorizzato dalla Lega. Infine un’estensione del bonus giovani nato con i governi Pd, inserito e finanziato in extremis durante l’esame alla Camera, per placare gli animi degli imprenditori, sul piede di guerra contro la nuova impostazione sul lavoro a tempo determinato.
Il cardine del cambiamento sta infatti proprio nella riduzione della durata massima dei contratti a termine. Rispetto alla disciplina finora vigente, che fissa il limite a 36 mesi, si passa ad un tetto di 12 mesi, rinnovabile, solo in alcune ipotesi da rendere esplicite con apposite causali, per un massimo di 24 mesi. Le imprese potranno cioè allungare il rapporto di lavoro per “esigenze temporanee e oggettive”, estranee all’ordinaria attività, per la sostituzione di altri lavoratori oppure per necessità connesse ad incrementi temporanei, “significativi e non programmabili”, dell’attività ordinaria. Se le imprese non rispetteranno questa regola, come “sanzione” antiprecarietà, è stato stabilito che superati i 12 mesi di contratto a termine, se non verranno indicate le causali dei rinnovi, il contratto si trasformerà automaticamente in stabile. Le causali non varranno però per le attività stagionali, per le quali rinnovi e proroghe possono essere concordate anche in assenza di esigenze specifiche.