Sul Monte Pasubio 26 anni dopo lo schianto del Piper. Il nostro reportage
Lunedì 11 maggio 1992. Una data apparentemente come tante, che tuttavia rimarrà fissata nella storia come il giorno in cui il Monte Pasubio si è trasformato in cimitero per sei persone, che a bordo del Piper PA 46 Malibù sono andate a schiantarsi su una parete della montagna, perdendo tragicamente la vita. Siamo tornati in quel luogo di meravigliosa bellezza per vedere cosa rimane di quel fatto.
Nella memoria dei vicentini appassionati di montagna quell’avvenimento lascia ancora sgomenti. Pur a distanza di ormai 26 anni quella tragedia fa ancora rumore, per le tragiche modalità con cui è avvenuta.
Ricostruiamo brevemente i fatti. E’ l’11 maggio 1992 quando il Piper PA 46 Malibù pilotato dall’inglese Toni Lavelle e di proprietà dell’ imprenditore Ivo Farini, 49 anni, bolognese, ma da anni residente in Inghilterra, decolla da Venezia in direzione Bergamo. Con lui, sul velivolo viaggiavano due suoi ex soci, Stefano Rinaldi e Giuliano Rinaldi, nonché il golfista professionista gallese Poor Graham e il suo allenatore Walter James. Rientravano in Inghilterra dopo una visita in Toscana, dove volevano allestire un campo di golf. Dallo scalo tecnico di Venezia, con l’aereo erano infatti diretti a Bergamo per proseguire poi verso Londra.
Dopo le 14.30, orario di ultima comunicazione con l’aeroporto di Asiago, non si hanno più notizie di quell’aereo. Immediatamente scattano le ricerche, che coinvolgono sia le locali stazioni del Soccorso Alpino che i militari dell’Esercito e Aeronautica Militare. Per giorni, fino a venerdì, le ricerche si concentrano tra il gruppo del Carega e il massiccio del Pasubio. Lì infatti era stato captato l’ultimo segnale lanciato dal piccolo aereo. Ma la montagna da perlustrare è tanta, e ci vogliono diversi giorni per riuscire a fare qualche progresso.
Ad avvistare il velivolo, intorno alle 17.30 di venerdì 15, è un elicottero del 51° Stormo dell’ Aeronautica Militare, di base ad Istrana. Il pilota nota qualcosa di strano tra la vegetazione, si abbassa e nota chiaramente i resti del Piper, ed accanto alle lamiere anche alcuni corpi. Per la precisione, tutti e sei occupanti l’aereo.
Il piccolo velivolo si schianta infatti sul massiccio del Pasubio, e non come erroneamente pensato in un primo momento sul Carega. Sbatte addosso ad una parete a circa 1800 metri di quota, in una parte di Pasubio oggi attraversata dal Voro d’Uderle, sentiero alpinistico attrezzato. Una zona poco battuta ed impervia. Il pilota probabilmente ha valutato male la posizione del suo veicolo, terminando tragicamente la sua corsa addosso ad un’imponente parete di roccia. Secondo il centro di coordinamento del controllo aereo di Montevenda, il fatto che il relitto sia stato trovato sulle pendici del Pasubio sta a significare che il velivolo era finito fuori rotta. Resta da stabilire se ciò era avvenuto per una scelta di carattere “turistico”, oppure perchè il pilota si era confuso nell’affrontare la zona montuosa tra Vicenza e Verona. Probabilmente, non si saprà mai.
Oggi, dopo 26 anni, il sito dello schianto è ancora perfettamente visibile, e il ricordo del terribile sinistro contrasta fortemente con la bellezza del luogo, ricco di fiori, erbette e pini mughi. Il costone dell’impatto è tuttora annerito, e nell’impervio vallone al di sotto si possono ancora trovare i resti dell’incidente. Al di là dei pezzi di carlinga e di altre parti dell’aereo, fanno impressione i residui dei vestiti appartenenti ai passeggeri. Un paio di pantaloni scuri ed una camicia affiorano tra i sassi e i fiori. Ma il reperto a far più impressione è indubbiamente un beauty case perfettamente intatto, di marca Lynx. E chissà cos’altro si trova sotto alla ghiaia che in questi anni si è scaricata sul posto. Segni che ancora oggi testimoniano un giorno tragico nella storia del Monte Pasubio, probabilmente il peggior disastro dalla fine del primo conflitto mondiale.