Perde la moglie per un male incurabile e assiste il figlio piccolo malato. Licenziato
Una storia di ordinaria crudeltà, che va oltre il piano del diritto del lavoro. Un uomo, marito e padre prima di tutto, e poi anche lavoratore, perde l’amata compagna di vita stroncata in breve tempo da una spietata malattia. A 48 anni si ritrova solo con un dramma interiore da elaborare e un figlio, un bambino, da accudire e crescere come unico genitore e punto di riferimento. Un bimbo che si ammala e necessita dell’assistenza – ma soprattutto di amore e affetto – del papà che, giocoforza, si assenta dalle sue mansioni in una ditta nel settore orafo. E, a lungo andare, si ritrova licenziato in tronco. Nonostante le scuse e la volontà di riprendere diligentemente il proprio incarico.
A raccontarci questa (doppiamente) triste vicenda che coinvolge padre e figlio, che risiedono nell’Altovicentino, è la Fim Cisl di Schio, dove l’ex dipendente artigiano si è rivolto, disperato, per ottenere un sostegno prima ancora che giustizia. Se la pratica avviata gli darà ragione l’uomo, vedovo e disoccupato ora, otterrà un risarcimento.
Ma ciò che cerca veramente, a quasi cinquant’anni e con un bimbo a carico, è una nuova occupazione che possa garantire un futuro alla sua famiglia. E voltare pagina. Il sindacato dei metalmeccanici, per bocca di un portavoce, traccia i punti salienti della storia di “Mario”, assegnandoli un nome fittizio e ripercorrendone il calvario degli ultimi mesi.
“Dopo la morte della moglie Mario era confuso – spiega Massimo Pantano, sindacalista – non riusciva a darsi pace e si è ritrovato ad attendere alle faccende di cui si occupava solo la sua compagna. Si deprime. Per alcuni giorni non va al lavoro. Il titolare dell’azienda lo richiama, lo sgrida ma lo sprona a tornare al suo posto. Mario accetta, lavora per un po’ di tempo. Poi un giorno suo figlio si ammala”. Il racconto continua, in sintesi la situazione in breve tempo precipita: gli incoraggiamenti a riprendere la vita lavorativa si trasformano in contestazioni, lettere di richiamo disciplinare, formalità burocratiche.
Per iscritto “Mario” si scusa, giustificando e motivando l’assenza e prende l’impegno a rendersi disponibile e a tornare alle dipendenze con la massima diligenza ora che la situazione familiare glielo consente. “Tutti inutile – prosegue Pantano -, il titolare dell’azienda artigiana lo licenzia in tronco”.
Mario, disoccupato, riceverà temporaneamente un sussidio mensile cosiddetto “naspi” (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) mentre cercherà con il sostegno del sindacato un nuovo lavoro. “In 32 anni di attività sindacale ho incontrato tanti imprenditori locali – dice ancora Massimo Pantano con profonda amarezza – e la realtà è che la maggioranza non avrebbe mai licenziato Mario. Il titolare ha commesso degli errori a parer nostro, faremo quanto è in nostro potere per costringerlo a risarcire il lavoratore. E se anche la giustizia alla fine desse ragione a lui rimane il fatto che le nostre aziende, che spesso vengono definite come ‘famiglie’, si comportano davvero in maniera diversa. Non ci sono solo i contratti ed il diritto, ma solidarietà, comprensione, umanità. Quest’uomo che lavora con i metalli preziosi è un povero, gente come lui porta l’Italia indietro di decenni”.