CineMachine | Faust
REGIA: F.W. Murnau ● CAST: Gösta Ekman, Emil Jannings, Camilla Horn, Frida Richard, William Dieterle, Werner Fuetterer, Yvette Guilbert, Eric Barclay, Hanna Ralph, Hans Brausewetter, Lothar Müthel, Hertha von Walther, Hans Rameau, Emmy Wyda ● GENERE: drammatico, fantastico, horror ● DURATA: 116 minuti ● DATA DI USCITA: 31 gennaio 1927 (Italia)
Faust del 1926 per la regia di Friedrich Wilhelm Murnau.
Storia: Dio e Satana (Emil Jannings) combattono per il dominio della terra e fanno una scommessa, ovvero che se il diavolo riuscirà a corrompere l’anima di Faust (Gösta Ekman), un alchimista dotto e devoto, avrà il controllo completo sulla vita dell’uomo. Da qui le mille vicissitudini che vedranno invischiato Faust con le promesse ingannevoli del demonio che tenterà in ogni modo di portare l’alchimista dalla sua parte, promettendogli poteri curativi e l’eterna giovinezza. Sarà l’amore per una giovane e bellissima donna (Camilla Horn) a risvegliare il nostro protagonista che avrà fortunatamente salva la sua anima.
Basato sull’omonimo, se non leggendario, poema drammatico scritto nel 1808 da Johann Wolfgang von Goethe, Faust del 1926 di Friedrich Wilhelm Murnau, ultima pellicola girata dal regista in madrepatria, è a tutti gli effetti un capolavoro della storia del cinema.
Murnau forse è più conosciuto per un altro grande capolavoro del cinema espressionista che è Nosferatu il vampiro (1922), ma questo film, che vi consiglio con tutto il cuore se ancora non lo avete visto, è un qualcosa di visivamente magnifico, soprattutto tenendo ben conto che è passato quasi un secolo dalla sua realizzazione.
L’impatto visivo già dalle primissime scene, con delle sovrapposizioni d’immagine tanto impressionanti quanto spaventose, sono un segno tangibile della maestria tecnica di questo regista che, già in quegli anni, sperimenta e sviluppa la tecnica attraverso un movimento di macchina per lo più fisso e che lascia ampio respiro alle scenografie, alle ambientazione, ai costumi ed ai personaggi.
Ovviamente si parla di recitazioni di stampo teatrale, ma nel casting possiamo leggere i nomi di eccellenze dell’epoca come Gösta Ekman, stella del teatro svedese e un mostruoso Emil Jannings nella parte di Mefisto, con un’espressività accattivante e spaventosamente terrificante in certi momenti. Ed è ancora più spaventosa la bravura di questo attore che da un demonio ingannatore passerà ad interpretare la parte drammatica di un portiere d’albergo costretto alla miseria nel L’ultima risata (1924) sempre di Murnau.
Stiamo comunque parlando di film in bianco e nero, muti che forse, ora come ora, si rivelano accattivanti solo nella misura in cui ci divertono (es. le comiche di Stanlio e Olio o, ancor prima, di Buster Keaton e di Charlie Chaplin) o ci evocano qualcosa di spaventoso e se il cinema muto, la maggior parte delle volte, ci incuriosisce, è perché ne abbiamo sentito parlare con un alone di mistero, quando, nella realtà, il mistero è solo una nota aggiunta a delle composizioni straordinarie che valgono da sole la cinematografia di un Steven Spielberg o di un Martin Scorsese. Perché senza questo tipo di cinema, senza la storia di questo cinema, senza l’espressionismo tedesco, di cui Murnau è stato un grande fautore, assieme a tanti altri artisti dell’epoca (ricordiamo un altro capolavoro assoluto che è Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene), non avremmo avuto il grande cinema di questi grandissimi registi.
Tornando alla pellicola, la storia trasposta in modo anche personale dal regista, porta dentro di sé dei contenuti tipici del romanticismo settecentesco. Solo l’amore può salvare l’uomo ed oggi forse non ne siamo così convinti, allibiti dalla violenza che osserviamo e subiamo quotidianamente nelle nostre relazioni, nel nostro vivere in una società asettica, dove tutto sembra vero, tutto sembra voler avere una qualche sorta di credibilità. Ma, credetemi, solo un atto d’amore reale, che sia dare un mano ad una persona in difficoltà, che sia prestare ascolto ad una persona malinconica, può salvarci dal vuoto più totale che non è l’inferno di Mefisto, ma è l’inferno che coltiviamo dentro di noi.
A cosa ci servirebbe avere poteri infiniti o l’eterna giovinezza, se dopo sacrifichiamo tutto ciò che ci è più caro per ottenerli? Non sto parlando di sacrificare la propria vita, come è scritto nel 99% delle sceneggiature hollywoodiane, dove alla fine va sempre tutto per il meglio e lo spettatore può andarsene a casa rassicurato perché l’eroe, con cui tu ti sei immedesimato, ce l’ha fatta. Ha vinto. No. Sto parlando di sacrificare la nostra moralità, il nostro sentirci in sintonia con le altre persona e del renderci conto di come le facciamo sentire con i nostri comportamenti e le nostre azioni.
Sacrificare la propria umanità, che sarebbe a dire anche la propria intelligenza, per perseguire degli scopi irrisori, miseri e subdoli, non è certo un gran modo di completarsi interiormente e per dirsi, alla fine, che si è vissuti veramente. Lasciate che il diavolo vinca la sua scommessa, ma se dopo il mondo va a finire nelle sua mani, non lamentatevi.
Detto ciò, Faust del 1926 per la regia del maestro F.W. Murnau è un capolavoro, da vedere e rivedere, su grande schermo, in qualche rassegna di cinema d’essai, se possibile o sennò vi consiglio la bellissima edizione in Blu-ray curata dalla Eureka in lingua originale per godervi a pieno le scene che vi ho descritto e vivere un pochino di quel cinema delle origini che tanto ci ricorda come eravamo e ci fa riflette anche su cosa siamo diventati.