R.I.P. 2016
A me non è che George Micheal abbia mai fatto impazzire. Noto però che in molti, anche giornalisti di reti nazionali, nell’imbarazzo di doverlo definire grande senza sapere il perché (per loro igonranza, non certo perché il buon Giorgino non avesse qualità), e trovando piuttosto ridicolo farlo per la sola Last Chirstmas, hanno ricordato la sua memorabile performance al Freddie Mercury Tribute a Wembley, tanti anni fa. Un po’ come quelli che ricordavano commossi la scomparsa di David Bowie col memorabile duetto di Under Pressure.
Un modo di dire al mondo: a me fotte sega che tu sia morto, mi piacevano i Queen, ma non ho il coraggio di dirlo.
Di George ricordo però una bellissima versione live di “I can’t make you love me”: da pelle d’oca. Ho scoperto anni dopo che non era un pezzo suo ma una cover di Bonnie Raitt. Comunque mi sarebbe piaciuto che lo avessero ricordato con quel video live: look molto sobrio, con il capello cortissimo e senza meches. Solo l’orchestra e la sua voce.
Poi è morta pure Carrie Fisher. Il cuore le ha chiesto il conto, pare, dopo che lo aveva fatto anche la sua carriera, che poteva essere quella di un Harrison Ford al femminile ed invece si è persa tra cliniche per disintossicarsi e depressioni varie. Eppure le tre cose migliori che ha fatto le ha piazzate tra i cult irrinunciabili a casa mia: Star Wars, The Blues Brothers e Harry ti presento Sally.
Altro che X Factor.
Poi però anche basta con sta storia che nel 2016 muoiono tutti. Così, solo da cultura pop, ricordo che il 1970 e il 1971 sono stati simili, come drammaticità. Ma magari all’epoca nessuno piangeva in tempo reale sui social o forse era quasi normale che una star morisse per droga.
Comunque di tutte queste persone famose scomparse nel 2016, i miei figli si ricorderanno probabilmente solo di Carrie Fisher e di Alan Rickman. Forse.
Perché provate a cercare su Wilkipedia la pagina dei morti nell’anno in cui avevate 6-7 anni, e poi ditemi di quanti vi ricordavate. Io dell’80 conoscevo solo Bon Scott.