Mamme NoPfas in Parlamento: soglia a zero per i perfluoroalchilici. “Vanno banditi”
Il monito lanciato dal comitato Mamme NoPfas è ormai l’eco di un grido disperato che dalle terre e dalle acque infestate da sostanze perfluoroalchiliche ha raggiunto Montecitorio a Roma, valicando i confini del Veneto e le province di Vicenza, Verona e Padova coinvolte nell’allarme ambientale. E, in particolare, la Camera dei Deputati, dove ieri si è tenuta un’audizione con la diffusione della presa di posizione dell’associazione Isde (Medici per l’Ambiente) al fianco delle mamme venete: la pericolosità degli acidi da Pfas è stata ribadita come estremamente elevata per la salute umana, considerando la persistenza degli agenti nocivi nell’ambiente e nell’organismo, non in grado di smaltirle. La prima richiesta presentata ai parlamentari è chiara: azzerare i limiti di soglia e farlo in tempi brevi, per scongiurare altri danni a quelli già arrecati alla popolazione.
In una nota diffusa alla stampa il comitato esprime una sostanziale approvazione per l’operato della Regione Veneto, “per porre dei limiti a queste sostanza per la matrice acqua“, abbinata però a un elenco di critiche e inadempienze nell’intreccio tra sanità e ambiente che riguarda da vicino la vicenda Pfas. “Tutto ciò non basterà se la gamma di acidi da analizzare non verrà ampliata, adeguandola ad esempio agli Stati Uniti, dove sono 24 le sostanze poste sotto monitoraggio mirato. Il doppio rispetto a quelle prese in considerazione in Italia, solo 12”. Inoltre, si richiedono altrettante misure ed analisi sul suolo e sull’aria, non basandosi esclusivamente sulle rilevazioni dalle fonti acquifere.
Sul piano sanitario, invece, la Regione ha attivato un piano di sorveglianza al fine di raccogliere dati puntuali e cadenzati sui valori ematici della popolazione, incrociandoli con gli stili di vita. “Le analisi sono partite nel 2017 – si legge nella nota – e si prevedeva di richiamare le persone a rifare l’esame a distanza di due anni: a noi risulta che i primi ragazzi invitati allo screening debbano ancora ricevere la seconda chiamata”. Inoltre, da puntualizzare che “la fascia di popolazione interessata dallo screening si è ampliata negli anni senza che ci sia stato in parallelo un potenziamento del personale sanitario addetto al settore Pfas, con la conseguenza che i tempi per la conclusione della prima fase si stanno allungando molto”. Critiche che hanno suscitato la pronta – e piccata – replica da parte della Giunta Regionale del Veneto.
Altre considerazioni di carattere tecnico sono state esposte nel corso dell’audizione in Camera dei Deputati. Tra le principali istanze la mappatura dei pozzi dei pozzi privati, la richiesta di delucidazioni chiare sulla presenza di agenti inquinanti di sostanze negli alimenti composti anche da acqua e l’ampliamento dello screening sopra citato a più fasce d’età e in aree geografiche più ampie.
I punti salienti del comunicato stampa diffuso ieri dalla Giunta del Veneto. “In primo luogo è destituita di ogni fondamento l’accusa di non aver raccolto e messo a disposizione dati scientifici – si legge nella replica -. I dati su acqua, animali, ortaggi e persone sono raccolti in continuo e condivisi con l’Istituto Superiore di Sanità nell’ambito di un rapporto di collaborazione in atto, grazie al quale l’Iss ha prodotto lo studio sull’esposizione alimentare. Il primo sull’inquinamento da Pfas in Veneto è stato presentato, proprio in Regione Veneto, il 20 aprile del 2016. L’allargamento dello screening sulle persone alla cosiddetta area arancione è in fase di valutazione. Nell’area rossa, le persone già invitate allo screening (che è esclusivamente su base volontaria) sono 72.100; le visite effettuate sono 42.400. La Regione sta attuando il più grande screening locale mai effettuato in Italia. Da ricordare che, unica in Italia e in attesa che lo faccia il Governo, ha fissato da ottobre 2017 il limite Zero Pfas nelle acque potabili, e che “solo in Veneto sono progettati o in corso lavori per opere acquedottistiche pari a 56,8 milioni”.