Ovest Vicentino, dalle Ipab parte l’appello sulla carenza infermieri. “Le Rsa rischiano il collasso”
“Occorre trovare al più presto una soluzione alla carenza di infermieri. Le case di riposo rischiano il collasso, non c’è veramente più tempo da perdere”. Un messaggio che vale come un monito, quello firmato da Alessandro Tonin, presidente dell’Ipab Sant’Antonio di Chiampo e rappresentante dell’Ovest Vicentino all’interno di Uripa (Unione Regionale Istituti per Anziani della Regione Veneto). Tra le cause del problema che attanaglia a macchia di leopardo quasi tutte le strutture veneto si annoverano i pensionamenti legati a “quota 100”, il passaggio di personale in ospedale e le poche nuove leve fresche di diploma, con conseguenze che rischiano di ricadere sul tessuto sociale in caso di forzata limitazione dei posti letto nei centri servizi per anziani e disabili.
Il portavoce dei dirigenti di Rsa a conduzione pubblica non usa mezzi termini per descrivere la gravità della situazione, dopo che l’emergenza Covid tutt’ora in corso ha ulteriormente appesantito la penuria di personale infermieristico nelle strutture residenziali per anziani. In Veneto, il fabbisogno di organico qualificato su scala regionale indica in 3.500 infermieri la soglia richiesta, ma solo poco più di metà risulta ad oggi disponibile e inquadrata nelle varie strutture. Ne mancano all’appello circa 1.600, con proprio Tonin ad analizzare cause di una situazione critica e le possibili conseguenze sui servizi e altre categorie professionale che, a cascata, rischiano di risentirne.
La fuoriuscita di infermieri e infermiere attratti da un posto fisso nelle Ulss a condizioni più vantaggiose, dinamica ormai nota da un anno a questa parte, costituisce solo una delle problematiche stringenti. “È una carenza cronica – spiega il presidente dell’Ipab chiampese – per via del numero chiuso per accedere al corso universitario. Ma il problema si è aggravato con Quota 100, che ha fatto andare in pensione molti infermieri, e soprattutto con la pandemia in corso, poiché gli ospedali, per fronteggiare l’emergenza, hanno iniziato ad assumere, con la conseguenza che in tantissimi, vedendo nella sanità pubblica migliori prospettive di carriera e retributive, hanno abbandonato le Rsa per trasferirsi, appunto, negli ospedali”.
Il caso di Chiampo. “Ad esempio nella nostra Ipab – sottolinea il presidente – abbiamo attualmente 15 posti per ospiti liberi, che però non possiamo occupare perché gli anziani non avrebbero la giusta assistenza, proprio a causa della carenza di infermieri. Se il personale dovesse ridursi ulteriormente, saremmo costretti a chiudere alcuni reparti della struttura e a ridurre il personale a quel punto in esubero, come gli operatori sanitari, gli ausiliari, il personale di cucina, i fisioterapisti, i logopedisti. E il taglio dei posti, a conti fatti, andrebbe a ricadere sulle famiglie e quindi sull’intero tessuto sociale”. Una parentesi fuori tema: da ieri, in modalità controllata, proprio alla Sant’Antonio sono riprese le visite agli ospiti “in presenza” oltre che attraverso il “tunnel degli abbracci”.
Dopo l’analisi delle cause e delle possibili conseguenze, di vitale importanza è la ricerca di soluzioni attuabili e, possibilmente, da attuare nel breve periodo. Queste le proposte indicate da Alessandro Tonin. “Innanzitutto togliere il numero chiuso all’università. Gli effetti, però, non sarebbero immediati. E allora chiediamo con urgenza che le Ulss sospendano i trasferimenti dalle case di riposo agli ospedali. E poi che vengano fatti dei corsi di formazione per gli operatori socio-sanitari, affinché siano abilitati a compiere alcune operazioni che oggi fanno solo gli infermieri, come la somministrazione delle terapie agli ospiti. Un ulteriore aiuto concreto potrebbe derivare dagli armadi farmaceutici che preparano le terapie in forma automatizzata. Sappiamo che l’Ulss stava trattando il loro acquisto: si faccia presto, ogni supporto, in assenza di infermieri, può essere determinante per le nostre strutture”.