Maxi operazione dei Ros contro la ‘ndrangheta: infiltrazioni nelle imprese vicentine
Ormai è un dato di fatto: il Veneto è terra dove i tentacoli della ‘ndrangheta sono ben piantati, infiltrati in particolare nel tessuto imprenditoriale. Lo avevano già evidenziato due recenti ritrovamenti di grosse partite di cocaina: una, di due chili, nascosti in un macchinario approdato nell’Alto Vicentino e l’altra con il maxi sequestro di quasi 700 chili di polvere bianca, giunti nell’Ovest Vicentino in un autoarticolato di pellami destinati alla concia.
Ora l’operazione “Terry” dei Ros – il Raggruppamento operativo speciale – dei carabinieri lo conferma perché ha documentato per la prima volta in Veneto l’operatività di un gruppo criminale a connotazione mafiosa in raccordo con imprenditori locali. Un’operazione i cui dettagli sono stati resi noti in mattinata presso la Procura della Repubblica di Venezia e che ha consentito di disarticolare la famiglia Multari.
Alle prime ore di questa mattina i carabinieri del Ros, infatti, con il supporto dei comandi provinciali dell’Arma di Verona, Venezia, Vicenza, Treviso, Ancona, Genova e Crotone, hanno eseguito 20 perquisizioni e 7 provvedimenti cautelari (cinque in carcere e due ai domiciliari). Quindici complessivamente le persone coinvolte nell’indagine. Sono indagate a vario titolo per i reati di estorsione, violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, trasferimento fraudolento di valori, resistenza a pubblico ufficiale, incendio, minaccia, tentata frode processuale, tutti commessi con “modalità mafiose”, secondo l’articolo 416 bis del codice penale.
Le indagini, erano state avviate nel 2017 e sono state coordinate dalla Procura Distrettuale Antimafia di Venezia: hanno permesso di ricostruire diversificate attività criminali, condotte con modalità mafiose dalla famiglia cutrese Multari, trasferita dalla Calabria nel veronese oltre trent’anni fa e legata alla cosca di Nicolino Grande Aracri. Al capo vi era Domenico Multari, affiancato dai fratelli Carmine e Fortunato, nonché dai suoi figli Antonio e Alberto. Da anni il gruppo criminale si sono resi responsabili di gravi reati, con la complicità di persone residenti nelle province di Crotone e di Venezia.
Nel Vicentino, l’indagine ha portato a Lonigo all’arresto di Carmine Multari, 54 anni,fratello di Domenico, e a due perquisizioni a carico di due professionisti. L’uomo era già salito agli onori delle cronache quando, nel 2013, il suo avvocato Paolo Mele Senior si era proposto di essere incarcerato al posto del suo assistito, detenuto affetto da una grave forma di neoplasia alla lingua, per la quale il giudice non aveva ritenuto comunque di concedere il trasferimento in ospedale. Carmine Multari allora stava scontando una condanna definitiva a 2 anni e mezzo di reclusione per truffa, appropriazione indebita e ricettazione. L’uomo era stato poi operato e messo ai domiciliari.
Fra i reati messi in atto vi sono estorsioni ai danni di imprenditori veneti e l’incendio di un’imbarcazione ormeggiata nel porto di Alghero (Sassari), lo yacht Terry (da cui ha preso il nome l’operazione). Il natante, che era oggetto di un contenzioso con l’acquirente a causa dei gravi vizi strutturali che presentava, doveva essere distrutto per non consentire l’esecuzione delle perizie. Dopo un tentativo che aveva solo parzialmente incendiato la barca, l’intervento dei Ros aveva impedito che il reato fosse reiterato.
Domenico Multari aveva già subito una misura un sequestro preventivo del suo patrimonio, ma ciò nonostante era riuscito ad impedire il perfezionamento della procedura di vendita all’asta degli immobili sequestrati attraverso contratti simulati di vendita a prestanomi e con minacce e violenze a pubblici ufficiali, che più volte si erano recati presso le abitazioni della famiglia. Il Tribunale civile di Verona, infatti, aveva stabilito la vendita all’asta, ma la famiglia con minacce e violenze aveva cercato di far desistere eventuali parti interessate all’acquisto degli immobili dopo averli visionati, con la conseguenza che le aste andavano deserte e gli immobili acquistati a prezzi molto vantaggiosi da prestanome degli stessi Multari.
L’operazione ha messo in evidenza, per la prima volta dal punto di vista giudiziario, la presenza in Veneto di un gruppo criminale di origine calabrese, legato da vincoli familiari, radicato in Veneto e responsabile di gravi reati di stile tipicamente mafioso.
Il fatto forse più grave è però che l’indagine ha ha anche consentito di verificare che imprenditori e comuni cittadini, “pienamente consapevoli – affermano i carabinieri nel loro comunicato – dello spessore criminale di Domenico Multari, che se ne vantava pubblicamente al fine di ottenere il completo assoggettamento psicologico dei suoi interlocutori, si rivolgevano a lui per risolvere ogni tipo di problematica econommica e privata, preferendolo agli apparati statali”.