Due cani annegati sotto il castello dei Maltraversi, salvato un terzo
L’hanno chiamata la “cisterna della morte”, le guardie zoofile vicentine: all’interno c’erano due cani morti annegati, mentre un terzo è stato tratto in salvo per un caso fortuito. Il ritorvamento è stato effettuato nei dintorni del castello di Montebello nel pomeriggio di domenica 6 gennaio, quando una giovane coppia in passeggiata con il proprio cane ha sentito dei flebili lamenti: non essendoci altre persone nelle vicinanze e compreso quindi che quei guaiti leggeri provenivano da un animale in difficoltà, si sono avvicinati alla zona recintata che protegge il castello.
Conoscendo la zona, hanno cercato un varco nella recinzione e si sono avvicinati al luogo da dove provenivano i guiti. Facendosi largo tra i rami, sono arrivano in una zona utilizzata dall’acquedotto, dove è presente una vasca rettangolare in calcestruzzo: all’interno c’era un cane da caccia vivo ma in estrema difficoltà, sommerso per gran parte del corpo dall’acqua. Le pareti della vasca erano sporche di sangue e nell’acqua putrida di marcio e morte galleggiavano altri due cani, con il collare in bella evidenza.
Alberto Frizzo, il giovane che li ha ritrovati, si buttato per quanto possibile verso l’interno della vasca e ha afferrato il cane vivo – un setter adulto da caccia – e lo ha tratto in salvo aiutato da un conoscente, mentre la compagna ha chiamato tutti i numeri utili: in un’ora sul posto si sono presentati i volontari dell’Enpa del canile di Arzignano per il recupero e la messa in sicurezza del setter, che nel frattempo il giovane aveva pulito e scaldato.
La proprietà del setter, che all’anagrafe è risultato rispondere al nome di Dik, è ovviamente un mistero, come spiega il capo delle guardie zoofile Enpa del gruppo di Vicenza, Renzo Rizzi: “E’ stato intestato per soli dieci giorni al più noto e fortunato cacciatore vicentino e da questi ceduto a tempo di record ad un altro cacciatore di Isola Vicentina, che però ora è all’estero. Lo abbiamo sentito telefonicamente e ha ammesso candidamente di non avere più il cane da tre anni e di averlo ceduto, senza ricordare a chi”. “Ci chiediamo – sottolinea Rizzi – che cosa ci faceva un cane da caccia all’interno di una zona dove vige il divieto, e perchè non è stato fatto il passaggio di proprietà se esiste un altro proprietario. Come è finito poi nella vasca? Sono tutte domande alle quali cercheremo di dare una risposta”.
Gli agenti zoofili hanno lavorato al recupero delle due femmine di segugio che galleggiavano nell’acqua, morte da quasi tre mesi e oramai in avanzato stato di decomposizione. I volontari sono riusciti a leggere il microchip e il proprietario è risultato un cacciatore della zona che ne aveva denunciato lo smarrimento. “Ma anche in questo caso – si chiede ancora Rizzi – ci domandiamo che cosa ci facevano i cani dentro a una zona con divieto di caccia. A prima vista potrebbe trattarsi di incidenti, ma la domanda che sorge spontanea è: come sia possibile che tutti questi cani, anche in coppia, si lancino dentro a un pozzo? Visto che i segugi ad esempio erano già fuggiti più volte, potrebbero avere arrecato dei danni a qualcuno, che li ha sistemati e gettati nel pozzo. Le indagini non si fermeranno, gli animali sono stati posti sotto sequestro e sul caso deciderà a breve la Procura. Si lavorerà anche su eventuali responsabilità del proprietario del pozzo, che non ha provveduto a coprirlo e metterlo in sicurezza”.