Tempi duri per gli “oriundi” da naturalizzare. Non bastano gli avi, il Comune chiede l’obolo


Fioccano in maniera sempre più insistente ormai da anni le richieste di documenti – atti di nascita datati, addirittura fino all’800 – da ricercare negli archivi anagrafici del Comune di Montecchio Maggiore. Il tutto ai fini della “naturalizzazione” di stranieri intenzionati ad avvalersi della cittadinanza italiana, e soprattutto dei diritti che ne conseguono, secondo il principio dello iure sanguinis. Una pratica su cui si discute tutt’ora nel merito, che spesso coinvolge anche il mondo dello sport, ma ad oggi pienamente legittima sul piano delle norme legislative che regolano il riconoscimento dello status di cittadino italiano.
Ottenibile attraverso l’iter di legge da chi “vanta” un antenato di origini italiane emigrato all’estero, al di là della destinazione. Ma che comporta una mole di lavoro d’archivio extra per gli uffici comunali, togliendo tempo e risorse umane ad altre incombenze più ordinarie che spettano agli impiegati degli enti locali. Ed ecco che proprio a Montecchio Maggiore si “fa scuola”: per far fronte alle pratiche da ora viene imposto un “obolo” – contributo spese – da 300 o 600 euro a ciascuno dei richiedenti. In pratica, un rimborso per le ore dedicate a spulciare carte e atti negli archivi.
Si tratta per lo più di persone residenti in Stati sudamericani, nipoti e pronipoti di uomini e donne emigrati in Brasile e Argentina (soprattutto) che vogliono accedere alla cittadinanza italiane per linea di sangue. Per ottenere certificati o estratti di stato civile datati oltre un secolo, in applicazione della legge n. 207 del 30 dicembre 2024, il nuovo tariffario entra in vigore come standard e le quote saranno dunque obbligatoriamente da corrispondere, a pena di blocco della pratica. Indirettamente, con l’introduzione del contributo a carico di chi richiede la documentazione si va anche a configurare una sorta di “deterrente” in funzione di finalità poco trasparenti emerse in passato in più luoghi, oltre che un ristoro per il lavoro svolto dal personale pubblico. Oltre 200, infatti, le pratiche evase negli ultimi anni dal solo comune castellano.