Emergenza “Squid game”, la serie Netflix cruenta che piace ai bambini (ma V.M.14)
Se recentemente vi capita (anche nel vicentino) di vedere ragazzini (anche di sei-sette anni) giocare a “1, 2, 3, stella!” non pensiate sia per una rinnovata passione per i giochi di una volta: il motivo è molto più serio e preoccupante e i primi ad accorgersene sono stati, anche nel vicentino, gli insegnanti delle scuole elementari, durante le ricreazioni.
Quei bambini infatti stanno imitando i giochi di “Squid Game“, la serie sudcoreana disponibile da fine settembre sulla piattaforma Netflix, che in un mese ha stracciato tutti i record di visualizzazioni, tanto da essere stata vista nel mondo già da 142 milioni di telespettatori. Il perché la cosa dovrebbe preoccupare tutti gli educatori, genitori in primis, è il fatto che si tratta di una serie davvero molto feroce e violenta, inadatta ai più piccoli.
456 persone scelgono infatti di condividere lo stesso destino, lottando per sopravvivere a sei sessioni di giochi per bambini: tutti quelli che perdono, muoiono. Alcuni giochi sono universali, come appunto “Uno due Tre stella”, o le biglie e il tiro alla fune, altri più specifici della cultura coreana come il gioco dei Dalgona. La competizione mette in palio moltissimi soldi, per la precisione 45,6 miliardi di won sudcoreani. Ma in palio c’è ovviamente la vita stessa e i partecipanti sono tutte persone povere o impoverite, indebitate, che hanno scelto volontariamente di partecipare al gioco e quindi messe le une contro le altre da chi tira le fila della gara, la cui caratteristica è che la sconfitta comporta la morte del “loser”.
Dietro agli episodi, si intravvede il tema della disuguaglianza sociale, con i “ricchi” che giocano con le vite dei “poveri” e va detto anche che la serie, per i suoi ideatori è diventata una incredibile fonte di guadagno: secondo Bloomberg, Netflix – che ha investito poco più di 20 milioni di dollari per la produzione – intascherà quasi un miliardo dagli introiti provenienti di questa serie.
Il nodo però è un altro. Squid Game (il gioco del calamaro, tradotto) è una serie cruenta ma che emoziona e coinvolge, che mostra un mondo feroce dove la povertà (di molti, ma non di tutti) dilaga. La visione insomma può indurre anche delle riflessioni in un pubblico adulto. Il problema è però che è seguitissima da ragazzini e persino bambini della scuola primaria, sebbene sia vietata sotto i 14 anni. Un divieto beatamente ignorato dai genitori prima ancora che dai ragazzi, ai quali viene dato in mano un cellulare connesso alla rete già a 7-8 anni.
“Tutti i miei alunni di quinta elementare guardano questa serie – commenta un insegnante della primaria dell’Ovest Vicentino”. “Durante la ricreazione li vedo spesso giocare a 1 ,2, 3, stella – commenta una maestra – simulando la squalifica dei compagni con il gesto della pistola. E io che fino a poco tempo mi ero quasi commossa nel vederli giocare in gruppo a dei giochi dei vecchi tempi, solo ora traggo l’amara realtà”.
Che il problema sia diffuso e grave lo dimostra la serata informativa promossa per il 27 ottobre dal progetto Reti di Comunità insieme con 13 Comuni del Distretto Ovest e l’Ulss 8 Berica: è rivolta a genitori, docenti, animatori, educatori e ha l’obiettivo proprio di aiutare a comprendere i contenuti della serie tv e far capire le conseguenze dell’assenza di un monitoraggio educativo su ciò che i minori guardano e assimilano e come indirettamente possono promuovere la violenza. A condurre l’incontro ci sarà il consulente educativo Marco Maggi.
Il controllo su cosa i bambini guardano sui dispositivi collegati a internet non è ovviamente un problema di oggi e ha a che fare anche con la capacità dei genitori di esercitare un controllo “a vista” su ciò che i ragazzi fanno in rete, ma deve fare i conti anche con l’uso sempre più intensivo di computer connessi alla rete ad esempio per le attività didattiche, una dinamica esasperata dall’epidemia da Covid-19 e dall’uso della didattica a distanza. Una riflessione approfondita ha cercato di farla su Facebook in questi giorni Alberto Pellai, noto psicoterapeuta dell’età evolutiva, nonché medico e ricercatore presso il dipartimento di Scienze biomediche dell’Università degli Studi di Milano e co-autore del libro “Vietato ai minori di 14 anni” nel quale spiega in dieci punti i motivi per cui è importante attendere prima di dare in mano uno smartphone e una connessione internet al proprio figlio. “Se i genitori non controllano i figli, il problema non è della serie tv ma della famiglia che non fa il suo dovere. Ma quando leggo quello che mi dicono i genitori, scopro che il problema è enorme e molto più vasto. I genitori si sentono impotenti di fronte a ‘corazzate’ mediatiche che entrano massicciamente nelle vite dei più piccoli senza che nessuno l’abbia voluto o desiderato” spiega Pellai.
Serie come Squid Game coontrastano in primis lo sviluppo di empatia (il “mettersi nei panni degli altri”) verso i propri simili, con i danni che poi raccogliamo tutti i giorni nei fatti di cronaca. Per questo lo psicoterapeuta propone un “patto” fra adulti (fra genitori in primis, verrebbe da dire): “Dobbiamo diventare protagonisti di di un ’alleanza che come adulti, genitori ed educatori ci permetta di creare una vera e propria comunità educante. E’ ora di sviluppare una mente adulta comune, che permette di vedere con occhi lucidi e competenti ciò che fa bene e ciò che fa male a chi cresce. E’ solo in questo modo che si costruisce un vero villaggio in grado di far crescere un bambino. Sapere che la serie tv Squid Game è ufficialmente vietata ai minori di 14 anni e ciò nonostante una miriade di bambini e bambine la stanno guardando è il segno evidente che questo ‘villaggio’ non esiste. E lo dimostra il fatto che bambini sempre più piccoli – ovvero i nostri figli – si trovano immersi sempre più negli schermi, che nella vita reale, incontrando la morte di Squid Game senza magari aver mai sentito nominare né Pinocchio, né Geppetto, né il Gatto e la Volpe”.