Videogiochi: non solo intrattenimento ma anche una forma di terapia
(Quello che segue è un articolo redatto all’interno delle attività del laboratorio “Cittadini Giornalisti Digitali” del progetto AVATAR – Alto Vicentino, che punta allo sviluppo della cultura digitale e di nuovi servizi tecnologici per cittadini, imprese, enti e pubblica amministrazione nell’alto vicentino) *
Quando pensiamo ai videogiochi la prima cosa che ci viene in mente è un semplice mezzo di intrattenimento. Ciò che però non tutti sanno è che essi possono essere utilizzati anche in ambito terapeutico, fornendo enormi benefici ai pazienti.
Sono molti gli studi a proposito, primo fra tutti il progetto che involve il videogioco EndeavorRx, prima opera videoludica approvata dalla Food and Drug Administration (Fda) come terapia digitale da affiancare ad un regolare percorso terapeutico. Il gioco, in cui il giocatore ha l’obiettivo di portare una navicella spaziale lungo un percorso a ostacoli, è stato sviluppato per combattere la sindrome da deficit di attenzione e iperattività, nota anche come Achd, nei pazienti in età pediatrica dagli 8 ai 12 anni.
Il funzionamento del titolo fa sì che il paziente debba allenare la sua discriminazione percettiva, ovvero la capacità di porre l’attenzione su alcuni oggetti e nel frattempo ignorarne altri, e allo stesso tempo lo spinge verso una attività di imposizione, pratica in cui il giocatore dovrà spostare la navicella in modo da colpire ed evitare determinati ostacoli. Tutto ciò porta il bambino a sviluppare la sua capacità di multitasking, avendo come risultato un grosso miglioramento per quanto riguarda l’attenzione generale.
Il videogioco naturalmente non può rimpiazzare le cure convenzionali, ma studi pubblicati dopo aver testato la terapia su circa 348 pazienti hanno confermato l’efficacia dopo che i genitori hanno riscontrato miglioramenti su quasi il 50% dei soggetti entro quattro settimane, mentre dopo un altro mese la percentuale è salita al 65%.
Un altro esempio è il caso di Eric Levasseur. In età scolastica, Eric conobbe in un centro LAN, un luogo dove vari videogiocatori possono giocare insieme di persona, la ragazza che in futuro avrebbe sposato. Una volta iscritti all’università però, il ragazzo iniziò a manifestare dei sintomi di una seria malattia neurologica. Questo male lo portò a perdere la capacità di fare le più semplici mansioni, quali guidare e molte altre cose, costringendolo ad essere accudito a casa, il tutto mentre dovette passare attraverso a ben sette interventi neurologici. In tutto ciò la sua memoria subì un tremendo colpo, portandolo a dimenticare perfino dove si trovasse il bagno della sua stessa casa. Ciò però non fece perdere né a sua moglie né a lui la passione per i videogiochi, e quando nel settembre del 2014 uscì il videogioco Destiny, i medici suggerirono che esso poteva essere usato come terapia per i suoi problemi di salute. Secondo la moglie, dopo le partite Eric mostrava grandi miglioramenti, e sebbene i problemi di memoria persistettero, egli fu in grado di descrivere al suo terapista il videogioco nei minimi dettagli. Questi confermò che esso poteva benissimo avere enormi benefici per quanto riguarda i problemi mnemonici e neurologici in generale.
Da queste vicende e dagli studi fatti quindi possiamo imparare come i videogiochi, spesso ingiustamente indicati come la causa scatenante di comportamenti distruttivi nelle persone, specie nei soggetti più giovani, quasi a voler cercare un capro espiatorio facile da accusare, siano in realtà un mezzo dotato di enorme potenziale, capace di portare enormi benefici a molte persone, sia a livello fisico che emotivo.
*Davide Scalabrin – CGD Progetto Avatar