La Finanza mette i sigilli ad un’attività tessile “apri & chiudi” gestita da imprenditori cinesi
Tornano alla ribalta della cronaca nel Vicentino le cosiddette aziende “apri & chiudi” attive nel settore tessile e gestite da famiglie di origini cinese, secondo un sistema arcinoto e che vede le Fiamme Gialle indagare a tappeto e procedere a una decina almeno di sequestri nell’ultimo anno nella nostra provincia.
L’ultima operazione in ordine di tempo è stata portata a termine dalla Guardia di Finanza di Bassano del Grappa nella stessa città. Sono tre in questo ambito i cittadini asiatici finiti sul registro degli indagati, a cui aggiungere il sequestro di beni vari a loro riconducibili per un valore di circa 330 mila euro. Attraverso il “valzer” di cambi di denominazione e dirigenti, i soggetti incriminati omettevano sistematicamente il pagamento dei tributi, Iva e Irpef in particolare, secondo il consueto “canovaccio” illecito trasfuso in Italia ormai da anni e che impegna le forze dell’ordine per ripristinare un equo mercato nel settore,
A coordinare le indagini è stata la Procura di Vicenza che, sulla base degli elementi raccolti dai finanzieri provinciali, ha autorizzato il sequestro preventivo dei beni ai fini di una possibile confisca definitiva, a tutela e risarcimento dei danni patiti dall’erario in seguito alla condotta truffaldina da parte della rete di imprenditori cinesi coinvolti. Avrebbero evaso in solido l’Irpef per 195.500 euro circa, e l’Imposta sul Valore Aggiunto (meglio nota come Iva) per altri 138.500. A renderlo noto, senza poter citare i nominativi delle persone sotto esame e i marchi, è il comando provinciale della Guardia di Finanza attraverso una nota.
Una serie di interventi da parte dei garanti della legalità che si rende necessario non solo per far recuperare parte dei contributi dovuti allo Stato per legge, ma – e forse soprattutto – per salvaguardare artigiani e imprenditori del tessile che lavorano onestamente in rispetto delle regole del mercato. Nel caso specifico, a una prima chiusura dell’attività ne seguivano altre due in pochi mesi, lasciando una scia di debiti verso il fisco, di fatto irrecuperabili visto che di volta in volta il titolare legale spariva dalla circolazione, rendendosi irreperibile dopo la cessione dell’attività a terzi, sempre connazionali.
Di volta in volta, macchinari e laboratori passavano di mano continuando la produzione di capi di abbigliamento sotto diversa proprietà, a livello formale, e mantenendo inalterato il “pacchetto” di clientela e di fornitori. Una condotta considerata aggressiva nel mercato oltre che illecita, non permessa dal sistema legislativo italiano e fortemente penalizzante nei confronti dell’imprenditoria locale.