La roggia non era sicura: il Comune viene condannato a risarcire i familiari dell’anziana annegata 6 anni fa
L’iter giudiziario si è concluso con la prima sentenza, a 6 anni dalla morte di una donna in circostanze accidentali. Una pronuncia del Tribunale di Vicenza che impone al Comune di Rosà un risarcimento da 415 mila euro (più spese legali) legato alla scomparsa di Giulia Salvalaio, pensionata di 88 anni deceduta per annegamento dopo essere caduta nella roggia ritenuta allo stato attuale non adeguatamente protetta in sede di giudizio, tesi portata avanti in questi anni di dibattito da parte dei familiari e da chi ne cura gli interessi.
A confermarlo è la decisione del giudice De Giovanni resa nota per conto dei figli della vittima una donna veneziana di origine e residente proprio a Rosà, dopo che l’ente locale era stato citato in giudizio in seguito alla disgrazia. Rigettando l’opzione del “caso fortuito” opposta subito dai legali difensori incaricati dall’amministrazione. Dall’altra parte, invece, ottenendo in primo grado il riconoscimento della piena responsabilità relativa alla tragedia, avvenuta nel settembre del 2016. All’orizzonte un probabile processo d’appello.
Dal 2011 l’anziana in pensione, per essere meglio seguita per le patologie collegate alla sua età, si era trasferita in casa di una figlia nel Vicentino. Nella tarda serata tra il 23 e il 24 settembre si era allontanata da casa, con tutti all’oscuro dell’assenza, vagando in piena notte per il paese fino a venire avvistata in zona industriale dopo le 5 del mattino, come risulta da una segnalazione inoltrata da un passante ai carabinieri e portata agli atti. Il mattino seguente, purtroppo, è stata ritrovata cadavere in un tratto della roggia in via del Lavoro, intorno alle 10, morta da ore. Secondo la ricostruzione di parte, ora avvallata dal giudice, sarebbe caduta in acqua dal marciapiede in prossimità di un cancello carraio, senza riuscire a portarsi in salvo e morendo così annegata. La grata in cui si era impigliata una gamba si era rivelata per lei una trappola senza possibilità d’uscita, nonostante il livello d’acqua relativamente basso (stimato in mezzo metro dai tecnici).
Dei rilievi sul drammatico incidente si occuparono nei primi giorni d’autunno del 2016 per primi i carabinieri della stazione locale, acquisendo elementi ed immagini sul corso d’acqua scenario della morte di Giulia Salvalaio. Una serie di perizie tecniche avrebbero dimostrato in seguito come l’area mancasse di adeguate strutture di protezione, esponendo a rischi chiunque, tesi questa abbracciata in sentenza. Solo successivamente alla tragedia, quindi, come spiega lo Studio3A specializzato in tutela e risarcimento danni, il Comune aveva poi provveduto alla copertura. Dopo la prima sentenza la vicenda non è comunque ancora chiusa, visto il mandato affidato ai legali del Comune per la presentazione di un’istanza di appello.
Questo uno stralcio della sentenza in uno dei passaggi cruciali riportato dallo studio che ha curato gli interessi dei figli della vittima: “La roggia in cui ha trovato la morte la signora Salvalaio non era segnalata in alcun modo, né con segnaletica orizzontale né verticale, né l’accesso ad essa era precluso da alcun muretto, parapetto, sbarramento protettivo o alcun altro manufatto similare. Non vi era nemmeno alcuna segnalazione, segnaletica o stradale, orizzontale o verticale, tale da destare l’attenzione dei passanti sul fatto che il marciapiede andava a interrompersi”. Solo dopo il fatto di cronaca il Comune avrebbe fatto apporre un “archetto dissuasore” con segnale di “fine percorso pedonale e ciclabile”. Inoltre, aggiunge il giudice, “l’illuminazione, nel tratto in questione, non era adeguata, essendo “schermato” il lampione più vicino dalla fitta chioma di alcuni alberi”: anche l’oscurità, essendosi verificato prima dell’alba, avrebbe quindi inciso nel tragico evento secondo la ricostruzione ritenuta ad oggi realistica, in attesa del nuovo grado di giudizio a confermare o smentire la tesi.