Accorpamento sedi continuità assistenziale, Sindacato dei Medici contro Regione e Ulss
Dura presa di posizione dello Smi del Veneto, il Sindacato dei Medici Italiani, contro le scelte di medicina territoriale dell’Ulss 7 Pedemontana, con la decisione di ridurre da 10 a 5 le sedi della continuità assistenziale, spostandole all’interno degli ospedali, a causa delle carenze di personale.
La prima accusa riguarda la scelta dell’Ulss 7 di non accettare la costruzione di un percorso condiviso. “Dopo il Comitato Aziendale del 17 novembre scorso – spiega la nota della segreteria regionale Smi – abbiamo chiesto di trovare una mediazione, attraverso un tavolo tecnico, riguardo la scelta unilaterale dell’azienda sanitaria di chiudere 5 su 10 sedi di continuità assistenziale. Nella discussione abbiamo sostenuto che i presidi di continuità assistenziale sono Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) sanciti da norma nazionale, i bacini di utenza hanno precisi numeri di pertinenza che già in Veneto erano stati superati: ricordiamo che la normativa nazionale prevede un sanitario ogni 5000 cittadini. I rapporti erano già in sofferenza prima di queste scelte che tagliano le sedi di continuità assistenziale”.
La carenza di medici sul territorio, insomma, non è per lo Smi una emergenza degli ultimi mesi, perché era largamente preannunciata, ma “è sempre stata ignorata dalla parte pubblica, così come l’eliminazione di sedi periferiche e l’accentramento negli ospedali di quelle previste”. Accorpamento che però per lo Smi regionale non risolverà le carenze presenti nell’ex servizio di guardia medica, “soprattutto se vengono impiegati possibili medici di continuità assistenziale per risolvere i codici bianchi in pronto soccorso. La pur nota carenza dei pronto soccorso, di pertinenza ospedaliera, non si può risolvere distraendo personale da un servizio territoriale come la continuità assistenziale!”.
“Abbiamo sostenuto, inoltre, che il territorio con tale nuova impostazione – spiega ancora la nota della segreteria regionale Smi – verrebbe ad essere sguarnito e per ovvi motivi ciò implementerebbe l’accesso, anche improprio, al pronto soccorso, ove peraltro i cittadini pagheranno ticket sul codice bianco. Per questo riteniamo che l’accorpamento e lo spostamento in ospedale per motivi di sicurezza delle sedi non trova riscontro nella realtà perché la Regione Veneto già con la Delibera 1335/2017 aveva previsto fondi dedicati per la messa in sicurezza delle sedi esistenti”. Insomma, con una emergenza prevedibile per pensionamenti previsti, la Regione sarebbe andata contro quanto da essa stessa deciso quattro anni fa.
“Per ultimo, ma non meno importante, – conclude la nota – abbiamo sottolineato l’aspetto economico: l’azienda sceglie, unilateralmente, l’abolizione di 5 su 10 sedi e propone ai sanitari impegnati nello svolgere il servizio una cifra inferiore al raddoppio dell’attuale. Pare deplorevole che un servizio pubblico ottenga vantaggio economico nel ridurre un livello essenziale di assistenza al cittadino con la contemporanea riduzione stipendi dei medici e introito dai ticket dei codici bianchi di Pronto Soccorso”.