Bitcoin e criptovalute nel mondo. Come e dove si possono usare?
Questo articolo è un’esclusiva di Next Generation Currency per L’Eco Vicentino in accordo con la partnership stretta tra i due giornali.
Bitcoin e le altre criptovalute sono considerate delle scriptural money o asset (moneta scritturale), ovvero la loro forma è essenzialmente virtuale e non fisica. La loro sede è quindi il web, e non si potrebbe mai convertire il loro valore tramite carta stampata. Questa particolarità crea inoltre altre caratteristiche come la loro essenza decentralizzata e transnazionale. Per una criptovaluta, pur essendo creata in un computer in un luogo preciso, la sua origine è la Rete, ed in quanto tale non presenta confini e limiti geografici. Tale attributo ha quindi reso possibile la diffusione delle stesse (criptovalute) in tutto il mondo, evitando che il fenomeno si potesse bloccare alle origini. Il contagio è stato quindi globale, principalmente grazie anche alla situazione geo-politica ed economica, caratterizzata dall’esponenziale processo di globalizzazione e digitalizzazione.
Tuttavia pur essendo una moneta decentralizzata che come abbiamo potuto capire è nata e cresciuta sul Word Wide Web, il mondo reale e fisico con annesse tutte le sue norme, le sue leggi, i suoi dogmi e le sue imposizioni è spesso partecipe nel processo decisionale dei vari utenti nell’acquisizione e nella vendita delle criptovalute. Se l’intero ecosistema di questo innovativo settore si basa sulla fiducia tra gli utenti, le situazioni geo-politiche in cui essi (utenti) si trovano sono spesso limitanti per nutrire e far crescere tale settore. Inoltre Bitcoin e le altre criptovalute vivono in una situazione in cui è possibile utilizzarle liberamente: se un governo o una serie di governi dovesse proibire l’utilizzo di valute decentralizzate, pur non potendo gestire realmente e limitare il flusso di queste, si vivrebbe una situazione di incertezza. Questa situazione fino ad adesso non si è ancora verificata, e non ci sono segnali a livello mondiale in questo senso.
Analizziamo quindi alcuni casi studio provenienti dai vari continenti per riuscire a percepire il rapporto politica-Bitcoin.
Iniziamo il nostro viaggio partendo dall’Oriente. Il legame tra i tuoi elementi è caratterizzato da un Odi et Amo degno della migliore poesia catulliana. In Giappone, Bitcoin è riuscito ad acquistare la fiducia del governo nipponico, diventando la seconda moneta ufficiale. Aziende accettano bitcoin come mezzo di pagamento, e i dipendenti li accettano come stipendio. Inoltre, questa fiducia è stata decisamente ben disposta: si stima che nel corso del 2017, il PIL del Giappone abbia preso un +0,3%, proprio grazie ai benefici che Bitcoin ha dato all’economia reale. Tuttavia, Cina e Corea del Sud non sono sulla stessa lunghezza d’onda. Entrambi i governi, forse troppo autoritari per accettare una moneta che non sia sotto il pieno controllo del regime, si stanno muovendo a tratti contro questa rivoluzione. La prima, insieme alla sua banca centrale, People’s Bank of China, a settembre aveva considerato l’opzione di un nuovo divieto verso il settore criptovalute. La seconda, in accordo con le dichiarazioni del proprio Ministro delle Finanze, sta pensando a come vietare Bitcoin nell’economia domestica. Nonostante ciò, i tentativi e le dichiarazioni finora sono state solamente goffe e prive di concrete azioni.
Spostandosi più a Sud, in Australia, la situazione è molto simile a quella giapponese. Nella grande isola dell’emisfero australe, università, negozi e servizi accettano Bitcoin e altre criptovalute quotidianamente. La posizione del governo è favorevole, senza troppo trasformismo nella disposizione. Anche nel Vecchio Continente invece la situazione non è omogenea. Alcuni stati come Svizzera, Bulgaria, Malta stanno creando un terreno fertile dove costruire progetti e realtà affini. Altri invece non si espongono più di tanto, tra questi l’Italia, accettando senza particolare interesse la diffusione di questa innovativa realtà. Altri ancora, pur avendo in seno molti progetti, negli ultimi giorni hanno visto dichiarazioni di esponenti governativi che hanno sollecitato interventi contrari alla diffusione di Bitcon e criptovalute.
Muovendosi verso il Nuovo Continente, il rapporto è ambivalente. Negli Stati Uniti, noti per essere la prima realtà del corporativismo, i grandi istituti di credito, inizialmente contrari della rivoluzione decentralizzata, hanno deciso di creare strumenti, come i contratti futures su Bitcoin, per almeno controllarne parzialmente il valore. Il vero parere del governo, tuttavia, rimane ancora oscuro. Nel Sud America invece Bitcoin molto spesso si trova ostacolato dai governi, ma utilizzato comunque da moltissimi cittadini poiché migliore riserva di valore, rispetto alla moneta governativa, soggetta ad inflazione costante. Il Venezuela è un lampante caso studio. Lo stesso governo venezuelano, per limitare la diffusione di bitcoin, ha creato una criptovaluta governativa, il Petro, che tuttavia non ha niente a che vedere con il concetto di criptovaluta decentralizzata. Infine, anche in Africa la situazione è affine a quella sudamericana. Molti paesi afflitti da fenomeni di iperinflazione trovano i loro cittadini costretti a convertire i loro pochi risparmi in criptovalute. In alcuni stati dove la situazione è più tranquilla, come in Nigeria, stanno abbracciando la rivoluzione decentralizzata. Nigeria che ha l’obiettivo di diventare entro il 2030 il primo Stato africano completamente cashless, ovvero dove circolerebbe solamente moneta scritturale.
Infine, la Russia di Putin rispecchia esattamente la situazione mondiale: incertezza, necessità di cambiamento e speculazione. Cosa ne sarà della rivoluzione promossa da Satoshi Nakamoto?
Per NGC, Jacopo Sesana