CineMachine | La fabbrica delle mogli
REGIA: Bryan Forbes ● CAST: Katharine Ross, Paula Prentiss, Nanette Newman, Judith Baldwin, Peter Masterson, Tina Louise, Carol Eve Rossen, William Prince, Mary Stuart Masterson, Patrick O’Neal, Dee Wallace, George Coe, Franklin Cover ● GENERE: thriller, fantastico, horror ● DURATA: 117 minuti ● DATA DI USCITA: 12 febbraio 1975 (Stati Uniti)
La fabbrica delle mogli del 1975 per la regia di Bryan Forbes.
QUALCOSA DI STRANO STA ACCADENDO NELLA CITTÀ DI STEPFORD.
L’aspirante fotografa Joanna Eberhart (Katherine Ross) si trasferisce da Manhattan a Stepford, nel Connecticut, con la sua famiglia. Suo marito Walter Eberhart preferisce vivere in un tranquillo sobborgo di periferia, rinunciando ai disordini della grande metropoli. Tuttavia a Joanna l’idea sembra non piacere. Il quartiere è perlopiù abitato da bellissime e perfette casalinghe, tutte a modo, sottomesse ai mariti e diligenti nella cura della casa. Joanna avverte che c’è qualcosa di strano nella piccola cittadina. Diventa amica di Bobbie Markowe e Charmaine Wimperis e quando anch’esse cominciano a mutare repentinamente, Joanna capisce che deve assolutamente fuggire.
Le donne. Dice la scrittrice Diane Mariechild che “Una donna è il cerchio completo. Dentro di lei c’è il potere di creare, nutrire e trasformare”. Forse noi uomini ci siamo sempre sentiti un po’ assoggettati al gentil sesso proprio per questa sua facoltà di essere un qualcosa che vale nettamente di più. Ne siamo consapevoli e la donna, pur non avendo la stessa prestanza fisica, è quel qualcosa che ci sormonta, che diventa spesso e volentieri oggetto del nostro desiderio e delle nostre passioni e forse, proprio per tali motivi, le abbiamo molto spesso frenate nel corso della nostra storia.
L’immagine di queste donne bellissime, non necessariamente sexy, che sfilano nei corridoi di un supermercato in abiti estivi pittoreschi, quasi vittoriani e ampi cappelli a tesa larga bianca è una delle immagini più durature di questo efficace thriller basato sul lavoro di Ira Levin.
Questa immagine ci rivela come, nel corso della nostra storia, la donna comunque sia rimasta assoggettata alle brutalità del sesso maschile, i quali l’hanno confinata in ruoli socialmente e culturalmente ben definiti, in cui il suo spirito, la sua creatività e la sua libertà si possono esprimere entro determinate restrizioni, imposte principalmente dal marito o da un’altra figura maschile autoritaria. Un marito poco presente, poco partecipe agli interessi della sua compagna e che prende decisioni senza realmente tener presente il parere di quest’ultima.
Il film è del 1975, ma non crediate che ad oggi la situazione possa ritenersi completamente risolta. Non lo è ancora la schiavitù, figuriamoci la parità dei sessi. Proprio per tali motivi, mi sono permesso di consigliare, dopo questo lungo periodo di assenza, un film abbastanza duro, con tematiche molto vive che però non appesantisce ed è perfettamente godibile da un pubblico medio.
Il film in questione al suo debutto sul grande schermo riscosse molto successo al botteghino e fu anche ben recensito e tuttora continua a sviluppare un fenomeno di culto. Eppure, dopo che il film fu rilasciato nelle sale, ci fu una dimostrazione femminista che lo denigrò come sessista. Addirittura una delle manifestanti colpì brutalmente il regista Bryan Forbes in testa con un ombrello.
Le femministe criticarono il film definendolo misogino, in quanto ritraeva una città piena di donne trasformate in docili schiave sessuali. Membri del cast come Peter Masterson insistettero sul fatto che il film stava presentando il sessismo della società, non appoggiandolo. La colpa sembra più derivare dall’opera di Levin, da cui il film trae la sua storia, in quanto l’autore sembrerebbe soffermarsi piacevolmente sulla descrizione delle casalinghe, quasi deridendole e denigrandole. Una forte destabilizzazione di significato che, in un periodo di forti rivendicazioni sociali, portava con sé una notevole aggressività da parte del femminismo, soprattutto quello americano che travisò gli intenti degli autori. Se si guarda attentamente il film si può ben capire che la protagonista, interpretata in modo coinvolgente da Katherine Ross, è la vittima di un complotto e che essa rappresenta proprio la donna media americana.
Detto questo, La fabbrica delle mogli è un buon film ad alta energia che gioca maggiormente su ciò che lo spettatore non vede, ma intuisce, soprattutto in determinati momenti, quando la fabula raggiunge il suo apice e colpisce emotivamente molto forte. Ciò che il film racconta è il valore assoluto dell’identità umana e di quale orribile pericolo possa essere la sua sottrazione ad un individuo. L’annullamento dell’individuo per come lo conosciamo a favore di egoismi sessuali e logiche maschiliste di potere che ben conosciamo. “La donna è bene che stia al suo posto e che non rompa le scatole al marito”, come se il marito avesse tutte le sante ragioni e non rompesse anche lui le scatole a sua moglie.
La regia molto statica però qualche buona scena riesce a regalarcela, ma il tutto viene perlopiù sostenuto da un cast di attori solidissimo che ha saputo improvvisare in alcuni momenti con un copione flessibile, che è stato ritrascritto più volte, soprattutto nel finale. Parrebbe che in un primo momento fosse stato contattato Brian De Palma come regista e Diane Keaton come protagonista femminile, ma per diverse vicissitudini, sia l’uno che l’altra non abbiano accettato o non siano stati assunti al progetto.
La fabbrica delle mogli (1975) di Bryan Forbes. Un film stupefacente che vi consiglio vivamente di visionare. Lo si può trovare ancora disponibile in DVD distribuito dalla Sinister Film.